Salario minimo: i pro e contro di una possibile entrata in vigore in ItaliasteemCreated with Sketch.

in #world2 years ago

La direttiva dell'Unione Europea ha dato una nuova spinta alla discussione sul salario minimo. L'Italia è tra i pochi paesi a non avere leggi specifiche in materia. Il DDL Catalfo, fermo al Senato dal 2021, tornerà ad essere analizzato il 14 giugno 2022 e la sua eventuale entrata in vigore introdurrebbe una retribuzione minima di 9 euro l'ora. Il dibattito è molto acceso e le posizioni divise sui pro e i contro di una possibile implementazione, chi sostiene sia fondamentale e chi crede che i CCNL siano sufficienti.
Salario minimo, una possibile entrata in vigore della misura torna a far discutere l’Italia.

La direttiva dell’Unione Europea del 7 giugno 2022 ha l’obiettivo di fissare salari equi ed adeguati senza imporre un minimo comune per tutti i Paesi ma promuovendo la contrattazione collettiva.

L’Italia, che per fissare i minimi di retribuzione si basa solamente sui CCNL, non è tenuta ad adottare una legge per il salario minimo, vista l’ampia portata della contrattazione collettiva. Le posizioni nella sfera politica, però, sono divise nel discutere i pro e i contro. C’è chi sostiene che sia una misura necessaria per migliorare la qualità della vita dei lavoratori e chi invece crede che porterà inevitabilmente ad un aumento della disoccupazione.

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Il disegno di legge che prevede la misura, il DDL Catalfo, è fermo al Senato dal 2021 ma l’11ª Commissione si riunirà proprio il 14 giugno 2022 per riprendere l’analisi del testo. Una possibile entrata in vigore istituirebbe una paga minima oraria di 9 euro.

Salario minimo: i pro e contro di una possibile entrata in vigore in Italia
Il dibattito sulla possibile introduzione di un salario minimo è tornato a riaccendersi dopo la decisone della Commissione Europea di fissare una retribuzione minima oraria nei Paesi membri.
L’Italia fa parte della breve lista di Stati dell’Unione che non prevede un minimo salariale per legge, gli altri sono Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia.
Il sistema della retribuzione nel nostro Paese si basa esclusivamente sulla contrattazione collettiva. La negoziazione tra le parti tramite CCNL permette, infatti, di determinare le condizioni generali di lavoro, tra cui gli stipendi, le ferie e gli orari.

Una legge sul salario minimo introdurrebbe una soglia retributiva sotto la quale non è possibile scendere. Può basarsi su diversi parametri come produttività, PIL o indice dei prezzi al consumo e viene rivalutato periodicamente per adattarsi alle variazioni del potere d’acquisto.

In Italia le posizioni sul tema sono molto divise, anche a livello di Governo, e il dibattito coinvolge partiti e parti sociali.
Coloro che sono a favore dell’introduzione della misura sostengono che possa aiutare concretamente a garantire una qualità della vita migliore per i lavoratori, soprattutto quelli che non rientrano nella copertura dei CCNL.

Serve a contrastare il lavoro nero, elimina i contratti precari, le disuguaglianze e garantisce a tutti condizioni di lavoro dignitose. Si pensi ad esempio ai lavoratori della gig-economy che lavorano con contratti atipici e con poche garanzie.

Chi, invece, sostiene la posizione contraria, ritiene che l’introduzione di una misura del genere possa aumentare il costo del lavoro per le imprese, generando disoccupazione.
L’altra tesi dei contrari riguarda la contrattazione collettiva. In Italia i CCNL coprono la quasi totalità dei lavoratori e l’introduzione del salario minimo porterebbe benefici diretti a una ridotta fetta di lavoratori. Inoltre, il salario dovrebbe corrispondere alla produttività e non essere moderato.
Un salario minimo, poi, potrebbe avere conseguenze sulla contrattazione collettiva e sulla centralità del proprio ruolo per la negoziazione tra lavoratore e azienda. Proprio su questo punto alcuni sindacati sono divisi tra i favorevoli all’introduzione e chi sostiene che il cambiamento debba avvenire esclusivamente tramite i CCNL.

Salario minimo, la situazione italiana alla luce della direttiva UE
La direttiva dell’Unione Europea non obbliga gli Stati ad implementare una legge sul salario minimo, ma punta a fissare retribuzioni adeguate ed eque tramite la promozione della contrattazione collettiva.
L’UE quindi lascia la possibilità di scelta, introdurre il salario minimo o adeguare i CCNL per colmare eventuali lacune di particolari categorie di lavoratori.

In Europa l’importo minimo mensile varia a seconda dei Paesi, si va dai 2.256 euro al mese del Lussemburgo ai 332 euro della Bulgaria. La Germania recentemente ha alzato la retribuzione minima oraria a 12 euro.

In Italia la legge che prevede l’introduzione del minimo retributivo orario, il DDL Catalfo, è stata proposta già nel 2018, ed è ferma al Senato dal 2021. L’11ª Commissione, però, riprenderà i lavori sul testo il 14 giugno 2022
Il DDL n. 658 stabilisce che la retribuzione minima non possa essere inferiore a quella prevista dal contratto CCNL di riferimento e comunque non inferiore a 9 euro l’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali.
L’importo deve essere adattato annualmente sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea (IPCA), al netto dei valori energetici, rilevato nell’anno precedente.

Proprio per via della divisione sul tema, il disegno di legge è rimasto bloccato al Senato per molto tempo. Se n’è tornato a parlare dopo la decisione della Commissione Europea.

L’Italia non rientra nei casi individuati dalla direttiva, secondo la quale i Paesi con un tasso di copertura dei contratti collettivi inferiore all’80 per cento sono tenuti ad intervenire tempestivamente introducendo la misura.
Resta da vedere, dunque, cosa verrà deciso in materia di retribuzione minima oraria. L’Unione Europea non impone nessun obbligo e lascia libertà di scelta. Sarà compito della politica decidere se e quando sarà possibile introdurre una legge sul salario minimo.

Intanto, il Senato riprenderà la discussione del testo.

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