La custodia della mia viola da gamba - My viol case
Il concerto sta per iniziare.
Sono emozionata.
E torno indietro trascinata dai ricordi.
Torno a quel viaggio sulla nave che mi portava verso il sogno americano, fuggendo dal flusso sereno della mia vita, lasciando la culla.
Ho dormito in locali malsani accanto ai macchinari della nave, sotto il livello dell’acqua, insieme ad altri sognatori disperati.
Ero abbracciata alla mia viola da gamba chiusa nella sua custodia di pelle.
Una custodia lisa dal tempo, vissuta nelle trasferte dei concerti. Eravamo io e mia sorella in quel tempo che mi sembra lontano, in un’era preistorica.
Suonavamo con il nostro papà che stava al pianoforte o al clavicembalo: Marin Marais, Bach, Telemann, Scarlatti.
Io alla viola da gamba, mia sorella Cecilia al violino.
Musica da camera, nelle sale di Palermo, di Catania, Siracusa, nei matrimoni, a volte in orchestre per concerti importanti.
Tutto girava bene…
La mia custodia di pelle…con quelle macchie scure sull’angolo dove si era strappata la pelle e spuntava l’intelaiatura di metallo.
Quella custodia che proteggeva la mia viola e che aveva protetto me.
Il mio maestro di musica, Baldassarre Marboli, mi aveva seguito sin da piccola.
Ho imparato tutti i segreti della musica con lui, i segreti di questo strumento eccezionale, ho conosciuto l’estasi di una sonata eseguita alla perfezione, ho imparato a far scorrere e muovere le mie dita sulle corde come se le mie dita fossero condotte dal fantasma di Marais.
Quel giorno maledetto (o benedetto?) avevo vent’anni compiuti da due giorni.
A casa del maestro ancora si sentiva l’aroma del buon caffè, ma lui non sapeva di caffè, odorava di vino e liquore e barcollava ascoltando le mie note.
Mi interrompeva ogni tanto, con la voce impastata, dandomi dei consigli, correggendomi.
Intanto era arrivato alle mie spalle.
Io stavo seduta e suonavo.
Quando un musicista suona, la sua attenzione è concentrata in quel mondo, parte per pianeti inesplorati che scopre ogni volta, anche se più volte li ha percorsi.
Suonavo l’Adagio della Sonata n. 1 in Sol Maggiore per Viola da Gamba e Clavicembalo, di Johann Sebastian Bach.
Le sue mani si sono appoggiate sulle mie spalle, come più volte aveva fatto per condurre le mie mani o le mie braccia verso la giusta posizione.
Ma questa volta le sue mani sono scese infiltrandosi nella mia camicia seguendo la linea dei miei seni e arrivando a lambire furtive i miei capezzoli.
Per un attimo la musica si confuse ad un brivido di repulsione e di stupore.
Scattai facendo cadere la viola e mi divincolai.
Lui mi inseguì e mi spinse contro il muro.
“Sei troppo bella, troppo bella, troppo bella” continuava a ripetere con la sua voce balbettante, quella voce che mi aveva confortata e aiutata, quella voce…che non dimenticherò mai.
La sua mano si avvinghiò alla camicetta.
Lo spinsi via. Ancora mi spinse e mi imprigionò contro il muro, imprigionando le mie lacrime che stavano per scendere a cancellare l’affetto che avevo per lui.
Allungai una mano per cercare qualcosa con cui difendermi e mi trovai fra le mani la custodia di pelle.
Incominciai a colpirlo, a colpirlo, a colpirlo.
Sulla testa, sulle braccia, sulla testa…il sangue…la custodia si era lacerata e il metallo si abbatteva sul suo volto.
“No!” gridai
E lui cadde e non si mosse più.
Una settimana dopo salivo sulla nave e salpavo verso le nebbie del futuro, con la mia viola da gamba.
Mio padre aveva “aggiustato” tutto…non so come…
Ma io dovevo scomparire.
Ci trovammo a sbarcare sul Nuovo Mondo, in quell’isola dal nome di donna, Ellis Island.
Ho scoperto dopo che non era un nome di donna, ma di un uomo, Samuel Ellis, un tempo proprietario dell’isola.
Era il 1893.
Il resto ha dell’avventuroso, dell’incredibile.
Le donne sole non potevano rimanere oppure dovevano sposarsi sull’isola.
Ma io avevo la mia viola da gamba. Mentre aspettavamo il verdetto dei controllori e dei medici, i miei compagni di viaggio siciliani mi chiesero di suonare, di dare sollievo alle loro anime insicure.
Le note attraversavano la mente, io ero di nuovo su pianeti conosciuti, le note si posavano sui volti sperduti, tra i sacchi e le valige rotte, le note piangevano insieme a noi cercatori di fortuna.
E le udì un ufficiale appassionato di musica.
Mi portò via.
Mi portò in una comunità di italiani dove venni accolta con affetto e solidarietà.
E dopo una settimana mi trovai a fare un’audizione alla Carnagie Hall.
L’audizione per l’esecuzione della sinfonia “Dal nuovo mondo” di Antonin Dvorak, composta proprio in quell’anno a New York
Ora sono pronta.
E suonerò in questo nuovo mondo per la mia nuova vita.
Ma non suonerò mai più l’Adagio della Sinfonia n. 1 in Sol Maggiore per Viola da Gamba e Clavicembalo di Johann Sebastian Bach.
La Sinfonia n. 9 detta “Dal nuovo mondo” fu composta tra 1892 e il 1893 dal compositore ceco Antonin Dvorak che in quel tempo era direttore del New York Conservatory of Music. Egli creò una sinfonia di matrice classica europea contaminata da musica autoctona, come gli spiritual afroamericani e musiche dei nativi americani. Era nata l’anno dopo l’apertura di Ellis Island e dal fenomeno dell’immigrazione influenzata.
Venne eseguita il 16 dicembre del 1893 alla Carnagie Hall per la direzione di Anton Seidl.
Ebbe un enorme successo. Louis Armstrong la portò sulla Luna nel 1969 durante la Missione Apollo 11, il primo sbarco sul nostro pianeta.
La foto e il disegno sono dell'autore
- Con questo racconto partecipo al contest theneverendingcontest 126-S1-P6-l3*
Un racconto che vola molto lontano nel tempo!
Ciao Piumadoro!
Ciao! Ci si ritrova, ogni tanto!