Perché festeggiare il bycicle day? Ovvero l'importanza delle variabili non farmacologiche

in #lsd4 years ago (edited)

La sintesi dell'LSD, il 19 aprile 1943 aprì le porte di una radicale rivoluzione negli studi sugli effetti delle droghe, ad insaputa dello stesso Albert Hoffmann che la sintetizzò. La rivoluzione psichedelica ha dato il colpo di grazia definitivo alla tesi “farmacocentrica”. Secondo questa tesi, gli effetti delle droghe sarebbero indipendenti dal contesto in cui si muove una persona, dalle sue aspettative e credenze ed esisterebbe un insieme specifico e prefissato di effetti per ogni sostanza. Certo, ancora oggi, c'è chi sostiene il contrario, forse in cattiva fede, perché ci sono letteralmente migliaia di contributi scientifici a testimoniare il contrario. Lo studio di queste variabili ci sembra importante nella drug education sia all'interno delle attuali politiche sulle droghe sia in ottica futura.

Come il vecchio Proteo, l' LSD ha cambiato forma molte volte: è stata considerata cura per l'alcolismo, siero della verità, facilitatrice dell'insight psicoanalitico, agente liberatore della rivoluzione, afrodisiaco, agente perturbatore del DNA, un sacramento e infine una sostanza di nessuna utilità medica o con alto potenziale d'abuso (definizioni della Schedule 1 negli USA). Queste enormi differenze di ruoli e funzioni sono riflesse nell'azione stessa della sostanza. Invece di produrre effetti determinati, come l'alcool e le amfetamine, LSD e altri psichedelici agiscono come “catalizzatori a-specifici e amplificatori della psiche” (Stanislav Grof, LSD Psychotherapy). Ciò vuol dire che i contenuti della mente – formata tanto da processi sociali e frame culturali quanto dalle aspettative psicologiche e le disposizioni biologiche- contribuiscono attivamente alla composizione del “viaggio”. Lo studio degli effetti dell'LSD, ricorda la parabola dei ciechi e l'elefante.

Il 9 settembre 1961, Timothy Leary, psicologo ad Harvard, membro dell’American Psychological Association presentò un articolo in cui sosteneva la fondamentale importanza delle variabili non farmacologiche delle sostanze psicoattive, il cosiddetto set (personalità, preparazione, aspettative, intenzioni ma anche stato d'animo, paure, desideri) e l'ambiente fisico e sociale, detto setting. Questo è considerato il contributo più importante di Leary alla ricerca sulle droghe. In un altro articolo del 1967, “On Programming the Psychedelic Experience”, Leary e Metzner proposero una scienza del set e del setting: sostennero che i naviganti potessero programmare l'esperienza psichedelica in anticipo, come gli spettatori di un programma televisivo, ricorrendo a specifici yantra tibetani, mantra, incenso e specifiche posizioni di yoga.

Ci si potrebbe chiedere: le stesse variabili non valgono anche per sedativi, tranquillanti, stimolanti?
Già nel 1959, infatti, Anthony F.C. Wallace osservò che i fattori culturali hanno un ruolo fondamentale negli effetti anche delle sostanze non psichedeliche. Questa idea verrà ripresa poi in un libro fondamentale dello psichiatra Norman Zinberg, Drug, Set and Setting (1984), da qualche anno disponibile anche in traduzione italiana. L'aggiunta del terzo elemento – droga- si spiega con l'intenzione di Norman Zinberg di estendere il concetto al di là degli psichedelici.

Zinberg utilizzò i concetti di set e setting nello studio della dipendenza da eroina sviluppata dal 35% dei soldati americani in Vietnam. L'oppio veniva usato dai Vietcong per abbassare il morale delle truppe americane, si trovava a basso costo ed era ampiamente disponibile in quell'area del Sud-est asiatico conosciuta come il “triangolo d'oro”. La noia, il senso di inutilità e l'uso diffuso e tollerato nell'esercito, erano fattori decisivi nello sviluppo della dipendenza. Le politiche governative degli USA furono fallimentari nella riduzione della dipendenza, riposando sull'implicita convinzione che “once an addict, always an addict”. L'88% di questi soldati, tuttavia, interruppe volontariamente l'uso di eroina. Com'era possibile?

La sociologa Nee Lee Robins condusse una ricerca raccogliendo centinaia di interviste di reduci eironomani: raccontavano che tornati in patria non c'era più bisogno di assumere qualcosa che medicasse gli stati mentali negativi. In patria, inoltre sarebbero stati stigmatizzati da amici e parenti e così interruppero l'uso. Ritornati in un contesto ambientale differente, privo degli stimoli che eccitavano l'uso, gli utenti abbandonarono quest'abitudine (non c'è alcuna miracolosa trasformazione psicologica). Le ricerche poi sono andate avanti negli ultimi decenni in direzioni interessanti: Peter Cohen ha utilizzato i concetti di set e setting nello studio delle abitudini degli utilizzatori di cocaina in Olanda, Dweyer e Moore hanno invece evidenziato l'influenza dei fattori sociali nell'uso ricreativo delle metanfetamine. Set e setting, così, si rivelano strumenti fondamentali nelle politiche di riduzione del danno e nella ricerca scientifica sulle droghe.

Ancora una volta: grazie mille, Albert!

Scritto da Capitan Gatto
per Psycoscienze

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