Un momento di attesa - A Moment of Waiting (short story by @kork75)
ITA 🇮🇹
Seduta su una sedia di plastica arancione, un’anziana signora osservava il suo riflesso nel vetro della porta finestra. I suoi pensieri si affollavano in un turbinio di paure e ricordi. In attesa delle dimissioni, dopo quel malore notturno e la folle corsa in ambulanza all’ospedale, era preoccupata: temeva di ricevere notizie che avrebbero potuto cambiare la sua vita. “Mamma, non ti preoccupare, tutto andrà bene,” sussurrò la figlia, accarezzandole la mano. Ma nei suoi occhi si leggeva una preoccupazione più profonda, un timore per la figura materna. L’anziana si strinse le mani sulle ginocchia, cercando conforto in quel gesto. Il cuore le batteva forte; ogni battito sembrava un promemoria della sua fragilità. Perché non riesco a smettere di pensare al peggio? “Se solo potessi tornare indietro nel tempo…” mormorò con voce tremante. “Non voglio essere un peso per te.” “Non lo sei mai stata, mamma,” rispose la figlia con un sorriso che tradiva l’ansia. La distanza emotiva tra loro era palpabile; entrambe desideravano rassicurarsi, ma le parole sembravano insufficienti. Un’aria acre di disinfettante, pungente come un ricordo doloroso, avvolgeva la sala d’attesa del pronto soccorso, mescolandosi al profumo stantio della carta stampata e del caffè del distributore. L’anziana chiuse gli occhi, inalando profondamente quel mix di odori che la riportava indietro nel tempo, ai giorni in cui accompagnava sua madre a fare le iniezioni. Ogni puntura era un’agonia, ma la mano calda di sua madre sulla sua mitigava sempre il dolore, facendola sentire protetta. Nel frattempo, un ragazzo in tuta da ginnastica si muoveva nervosamente lungo il corridoio, saltellando e stringendo tra le mani uno zaino sportivo. Con una sola scarpa e una caviglia fasciata, sembrava un’isola di dolore in mezzo a quella distesa di sedie vuote. Il suo sguardo era fisso sul punto in cui il muro incontrava il soffitto, come se cercasse una via di fuga in quella semplice intersezione.
ENG 🇬🇧
Seated on an orange plastic chair, an elderly lady gazed at her reflection in the glass of the patio door. Her thoughts swirled in a tempest of fears and memories. Waiting for her discharge after that nocturnal malaise and the frantic ambulance ride to the hospital, she was anxious: she feared receiving news that could change her life. “Mom, don’t worry, everything will be fine,” her daughter whispered, gently caressing her hand. Yet, a deeper concern was evident in her eyes, a fear for her mother’s well-being. The elderly woman clasped her hands on her knees, seeking comfort in that gesture. Her heart raced; each beat felt like a reminder of her fragility. Why can’t I stop thinking the worst? “If only I could turn back time…” she murmured with a trembling voice. “I don’t want to be a burden to you.” “You’ve never been a burden, Mom,” the daughter replied with a smile that betrayed her anxiety. The emotional distance between them was palpable; both longed to reassure one another, yet words seemed insufficient. A sharp scent of disinfectant, as pungent as a painful memory, enveloped the waiting room of the emergency department, mingling with the stale aroma of printed paper and vending machine coffee. The elderly woman closed her eyes, deeply inhaling that mix of odors that transported her back in time to the days when she accompanied her mother for injections. Each shot was an agony, but her mother’s warm hand on hers always eased the pain, making her feel protected. Meanwhile, a boy in a tracksuit moved nervously down the corridor, bouncing and clutching a sports backpack in his hands. With only one shoe and a bandaged ankle, he appeared as an island of pain amid the expanse of empty chairs. His gaze was fixed on the point where the wall met the ceiling, as if searching for an escape in that simple intersection.
Un distinto signore, seduto vicino al termosifone, sfogliava distrattamente una rivista, incapace di afferrare il significato delle parole. Il rumore del riscaldamento e il ticchettio dell’orologio amplificavano la sua solitudine e paura. L’ansia cresceva e mormorò: “Non ce la faccio più a stare seduto,” lanciando occhiate furtive all’orologio. Aspettava il padre, che era stato preso in cura dai medici dopo essersi sentito male; aveva insistito per andare al pronto soccorso temendo che i suoi sintomi potessero essere gravi. Il cellulare all’interno della sala d’attesa non prendeva; così non aveva altra scelta che sfogliare per l’ennesima volta la rivista. Il ragazzo, sempre su un piede solo appoggiato alla parete, raccontò a un infermiere che la sua visita era dovuta a un infortunio durante una partita di calcio; il pensiero di non poter tornare a casa prima di sera lo tormentava: “Spero solo che non sia nulla di grave…” sussurrò. Una giovane volontaria in divisa da ambulanza entrò nella sala, portando una ventata di freschezza in quell’ambiente sterile. Si avvicinò all’anziana signora e le chiese: “Come si sente oggi?” Le due donne si conoscevano bene. La voce della volontaria era dolce e rassicurante; nonostante la mascherina, i suoi occhi sorridevano. “Un po’ ansiosa…” rispose l’anziana, cercando conforto nel suo sguardo. “Capisco. È normale sentirsi così. Ma c’è sua figlia qui oggi per aiutarla,” disse guardando entrambe con affetto. La volontaria pensò tra sé e sé alla forza di sua nonna, che aveva affrontato ogni sfida con un sorriso. Sperava di poter trasmettere un po’ della sua serenità a quelle persone. Si muoveva tra i pazienti come una luce nel buio, portando calore e umanità in quel luogo. Infine, si fermò appoggiata alla parete dopo aver suonato il campanello del pronto soccorso; ora anche lei era in attesa del suo turno. Il ticchettio dell’orologio accompagnava il respiro affannoso di alcuni pazienti, creando una sinfonia inquieta che riempiva lo spazio. Ogni suono sembrava amplificato nella mente; il rumore del riscaldamento appariva quasi come una voce che invitava a riflettere sul significato dell’attesa. I minuti passavano e il tempo sembrava dilatarsi come una gomma da masticare stesa fino all’infinito. L’orologio ticchettava incessantemente, ma le lancette sembravano ferme, bloccate in un limbo temporale. Ogni secondo diventava un’eternità; ogni respiro si faceva pesante. Improvvisamente, le luci della sala d’attesa si spensero per un attimo e il rumore del riscaldamento e delle macchinette del caffè svanì nel silenzio. Un nuovo paziente entrò affannato e visibilmente agitato; gli abiti sporchi di calce e le scarpe infangate non tradivano la sua frenesia. I suoi occhi erano sgranati e il respiro affrettato: “Cosa sta succedendo?” Le sue parole risuonarono come un colpo di tamburo nel silenzio teso. La donna accanto a lui, stringendo la mano alla madre, cercò di tranquillizzarlo: “Niente, è solo uno sbalzo di tensione.” Ma l’uomo, ancora più agitato di quando era entrato, si guardò intorno in cerca di una sedia libera. Alla fine si sistemò vicino al distinto signore che leggeva la rivista, che con un gesto cortese si alzò e si spostò dall’altro lato della stanza. Con voce rude e un accento che rivelò la sua provenienza da un ambiente operaio, l’uomo chiese: “Chi è l’ultimo?” La giovane volontaria rispose con calma ma con il cuore che batteva forte: “Io, devo dire solo una cosa veloce al dottore,”* mentre accennava un sorriso che venne contraccambiato con un grugnito. In quel momento il suo pensiero corse a lui, il dottore di guardia con cui aveva una relazione segreta; l’idea di vederlo la riempì di ansia e desiderio. Essere l’amante del dottore le conferiva un certo potere in quell’ambiente sterile ma portava anche con sé il peso del segreto. Ogni volta che varcava la soglia della sala d’attesa si sentiva divisa tra l’emozione di rivederlo e la paura che qualcuno potesse scoprire la loro relazione. Nel frattempo, l’uomo agitato rifletteva tra sé: “Ho appena perso il lavoro e non so come farò a mantenere la mia famiglia. Questo infortunio è l’ultima cosa di cui avrei bisogno.” La sua mente correva veloce tra pensieri di bollette non pagate e figli da mantenere. Il ragazzo con la caviglia fasciata alzò lo sguardo dallo smartphone spento e alzò la mano per attirare l’attenzione, era lui il penultimo. La sua espressione era una miscela di preoccupazione e speranza; anche lui era consapevole che ogni attesa in quel luogo poteva portare con sé una serie di incertezze. La tensione nell’aria era palpabile mentre ognuno dei presenti affrontava le proprie battaglie interiori cercando conforto in un ambiente lontano dalla normalità quotidiana. L’attesa diventava un viaggio interiore per tutti i presenti; era un purgatorio dove ognuno rifletteva sulle proprie paure e speranze. Era un limbo tra passato e futuro dove ogni pensiero si trasformava in una domanda: “Cosa accadrà dopo?” L’anziana signora chiuse gli occhi e pensò: “L’attesa è parte della vita; è come una porta chiusa che aspetta di essere aperta.” Ogni persona in quella sala viveva questa sospensione come un momento cruciale, un’opportunità per confrontarsi con le proprie emozioni e paure interiori.
ENG 🇬🇧
A distinguished gentleman, seated near the radiator, was leafing through a magazine absentmindedly, unable to grasp the meaning of the words. The sound of the heating system and the ticking of the clock amplified his solitude and fear. Anxiety mounted, and he murmured, “I can’t sit here any longer,” casting furtive glances at the clock. He was waiting for his father, who had been taken under medical care after feeling unwell; he had insisted on going to the emergency room, fearing that his symptoms might be serious. The cellphone within the waiting room had no signal; thus, he had no choice but to flip through the magazine once more. A boy, balancing on one foot against the wall, told a nurse that his visit was due to an injury sustained during a soccer match; the thought of not being able to return home until evening tormented him: “I just hope it’s nothing serious…” he whispered. A young volunteer in an ambulance uniform entered the room, bringing a breath of freshness to that sterile environment. She approached the elderly lady and asked, “How are you feeling today?” The two women knew each other well. The volunteer’s voice was sweet and reassuring; despite her mask, her eyes smiled. “A bit anxious…” replied the elderly woman, seeking comfort in her gaze. “I understand. It’s normal to feel this way. But your daughter is here today to help you,” she said, looking at both with affection. The volunteer thought to herself about her grandmother’s strength, who had faced every challenge with a smile. She hoped to convey some of that serenity to these people. She moved among the patients like a light in the dark, bringing warmth and humanity to that place. Finally, she paused against the wall after ringing the bell for the emergency room; now she too was waiting for her turn. The ticking of the clock accompanied the labored breaths of some patients, creating an uneasy symphony that filled the space. Every sound seemed amplified in her mind; the noise of the heating system appeared almost like a voice inviting reflection on the meaning of waiting. Minutes passed, and time seemed to stretch like chewing gum pulled into infinity. The clock ticked incessantly, yet its hands appeared frozen, trapped in a temporal limbo. Every second became an eternity; every breath grew heavy. Suddenly, the lights in the waiting room flickered off for a moment, and the sounds of heating and coffee machines faded into silence. A new patient entered, panting and visibly agitated; his clothes were smeared with plaster and his shoes muddy, betraying his frenzy. His eyes were wide and his breath hurried: “What’s happening?” His words resonated like a drumbeat in the tense silence. The woman next to him, holding her mother’s hand tightly, tried to reassure him: “Nothing, it’s just a spike in blood pressure.” But the man, even more agitated than when he entered, looked around for an empty chair. Eventually, he settled next to the distinguished gentleman reading the magazine, who courteously stood up and moved to the other side of the room. With a rough voice and an accent revealing his working-class background, he asked: “Who’s last?” The young volunteer replied calmly but with her heart racing: “I am; I just need to say something quick to the doctor,” while offering a smile that was met with a grunt in return. In that moment, her thoughts drifted to him—the on-call doctor with whom she had a secret relationship; the idea of seeing him filled her with anxiety and desire. Being the doctor’s lover granted her a certain power in that sterile environment but also carried with it the weight of secrecy. Each time she crossed the threshold of the waiting room, she felt torn between the excitement of seeing him again and the fear that someone might discover their relationship. Meanwhile, the agitated man reflected inwardly: “I just lost my job and I don’t know how I’ll support my family. This injury is the last thing I need.” His mind raced with thoughts of unpaid bills and children to support. The boy with the bandaged ankle looked up from his dead smartphone and raised his hand to attract attention; he was next-to-last. His expression was a mixture of worry and hope; he too was aware that every wait in that place could bring with it a series of uncertainties. The tension in the air was palpable as each person present faced their inner battles, seeking comfort in an environment far removed from daily normalcy. Waiting became an inner journey for everyone present; it was a purgatory where each reflected on their fears and hopes. It was a limbo between past and future where every thought transformed into a question: “What will happen next?” The elderly lady closed her eyes and thought: “Waiting is part of life; it is like a closed door waiting to be opened.” Each person in that room experienced this suspension as a crucial moment—an opportunity to confront their emotions and inner fears.
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