Spaghetti on the sea – Rilevamento Cetacei [ITA - Parte #1]

in #ita6 years ago (edited)

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Nonostante la nostra volontà di pubblicare un diario di bordo, ci siamo rese conto che è più facile pubblicare un articolo dall’Islanda piuttosto che in mezzo al mare. Per questo motivo, abbiamo deciso di raccontare la nostra esperienza una volta terminata divisa in due parti, una dedicata all’esperienza vera e propria mentre l’altra tratterà nel dettaglio tutte le specie che abbiamo avuto modo di osservare. Nel corso di questi giorni abbiamo avuto modo di gettare l’ancora in vari luoghi appartenenti all’Arcipelago Toscano la prima settimana, con il Centro Ricerca Cetacei, mentre la seconda settimana l’attività si è svolta principalmente nel Mar Ligure con l’istituto Tethys. Entrambe le attività di ricerca hanno l’obiettivo di comprendere lo stato di conservazione dei cetacei presenti nel Mar Mediterraneo tramite un monitoraggio attivo, e di capire come ottimizzare la gestione dell’ambiente marino per mantenere la loro popolazione. Per rendere ancora di più l’idea, tuttavia, è necessario partire dall’inizio sviscerando tutto quello che può rappresentare al meglio cosa significhi effettivamente trascorrere un’esperienza su un’imbarcazione da ricerca. Quando si torna da un’esperienza di questo tipo, le persone che ascoltano si dividono in quelle che credono tu abbia passato tutta la settimana sdraiata al sole cullata dalle onde e quelle che, con ammirazione e un po’ di invidia, pensano a quanto sia meraviglioso nuotare con i delfini. In realtà, c’è molto di più di quello che la gente percepisce e vogliamo spiegarne il perché, sperando di riuscire a trasmettere tutte le emozioni che abbiamo vissuto e che, ancora adesso che siamo tornate alla nostra vita frenetica di Milano, facciamo fatica a lasciarci alle spalle.


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Ore 7.30, la sveglia suona

Eh già, sarebbe bello potersi rilassare in barca svegliandosi comodamente qualche ora dopo, ma bisogna iniziare presto per poter svolgere tutte le operazioni a bordo in modo tale da cominciare a monitorare a un orario che garantisca almeno un avvistamento prima di pranzo. In realtà, questo non risulta per nulla pesante perché la luce comincia piacevolmente a diffondersi sempre più intensamente fin dall’alba permettendo un risveglio graduale, per i più pigri la sveglia dà solo il colpo di grazia. Come in ogni equipaggio che si rispetti, ognuno ha i suoi compiti, a turno c’è chi cucina, chi pulisce all’interno e chi pulisce all’esterno. Una volta terminata la colazione e svolte tutte le operazioni di pulizia interne ed esterne, resta solo il tempo per un bagno veloce prima di levare l’ancora e partire per cominciare il monitoraggio. Nel momento in cui si parte per il monitoraggio ci sono delle informazioni fondamentali da raccogliere affinchè si possano avere dei punti di riferimento validi per registrare le condizioni di partenza. A questo scopo, esistono le schede di monitoraggio. Le schede monitoraggio sono, quindi, dei fogli che vanno compilati ogni mattina e riportano alcune informazioni quali le condizioni del mare, del vento, la direzione del vento, il numero degli osservatori e dei binocoli utilizzati, la temperatura del mare e l’area di monitoraggio. Terminata la compilazione della scheda, il monitoraggio può ufficialmente essere considerato aperto, da quel momento ogni membro dell’equipaggio sceglie un punto dell’imbarcazione da occupare in modo tale da poter scrutare una direzione diversa da tutti gli altri osservatori per ottimizzare l’efficienza dell’attività. Il monitoraggio occuperà tutta la mattinata, e parte del primo pomeriggio, fino a che non si raggiungerà la destinazione prestabilita e gli incaricati cominceranno a preparare il pranzo. Sebbene questa attività possa sembrare monotona, è impegnativo mantenere sotto controllo il moto perpetuo dell’acqua che, appena cala leggermente l’attenzione, magicamente disegna e ti fa vedere anche ciò che vorremmo vedere a tutti i costi ma che, in realtà, non esiste. Ecco quindi che un gabbiano che fluttua, un riflesso o (ahimè) un pezzo di plastica, può tranquillamente illuderci di aver visto la pinna di un delfino. Altre volte, invece, quello che abbiamo intravisto in lontananza è esattamente ciò che stavamo cercando. A questo punto quello che si deve fare è continuare a tenere sotto controllo il gruppo con il binocolo finchè non si arriva a una distanza necessaria per poter raccogliere tutte le informazioni che servono, ma sufficiente a non disturbare e rispettare gli individui che abbiamo avuto la fortuna di incontrare. Anche in questo contesto ognuno ha i suoi compiti, c’è chi misura il tempo di apnea di ogni individuo, il numero di respiri, il numero di individui e altre informazioni che vengono riportate su un’altra scheda, la scheda di avvistamento. Nella scheda di avvistamento sono riportate informazioni generiche come l’ora di inizio/fine avvistamento, le coordinate sia iniziali, che intermedie, che finali e la distanza dalla costa. Proseguendo, vanno riportati dei dati più specifici riguardanti la specie avvistata come il numero di individui, la distanza dall’imbarcazione, il sesso e la presenza di piccoli. Infine, una parte della scheda riporta tutti i comportamenti osservati, sia individuali che collettivi. Una volta chiuso l’avvistamento (o gli avvistamenti) e arrivati a destinazione, si è pronti per consumare il tanto atteso e meritato pranzo. Il programma del pomeriggio varia a seconda del giorno della settimana: nella prima metà della settimana il tempo viene dedicato a diverse lezioni volte ad approfondire l’anatomia, la fisiologia e il comportamento dei cetacei, mentre nella seconda metà della settimana l’attività si concentra sulla fotoidentificazione degli individui avvistati durante le mattinate di monitoraggio. Una volta terminate le lezioni e la fotoidentificazione, arriva la sera che, pur segnando tristemente la fine di una giornata e l’avvicinarsi progressivo al termine dell’esperienza, si riempie della serenità di dieci persone sedute ad un tavolo a mangiare o sdraiate sulla prua della barca a guardare le stelle e raccontarsi di quanto sia bella questa vita.

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Gli strumenti utilizzati

Quando si parla di ricerca, spesso e volentieri si pensa a strumenti costosi e inarrivabili, laboratori e mezzi che consentano di vedere qualcosa che, semplicemente, tutti gli altri non possono vedere. In realtà, quello che accade in questo ambito è qualcosa di particolarmente interessante dal momento che gli strumenti utilizzati (non tutti ovviamente, la maggior parte) sono anche alla portata di persone che non necessariamente li possiedono finalizzati alla ricerca. Senza tralasciare la necessità di avere un’imbarcazione che consenta di muoversi nell’habitat di questi animali, è necessario essere in grado di individuarli. Per fare ciò, ci sono diversi metodi, dall’osservare il mare con un binocolo in cerca di movimento, all’individuare dei suoni emessi dai vari individui per mezzo di particolari microfoni subacquei chiamati idrofoni. Una delle caratteristiche distintive dei cetacei è la capacità di comprimere l’aria nel sistema delle sacche nasali in modo da produrre delle vibrazioni che si propagano nell’ambiente acquatico in modo molto efficace. Le vocalizzazioni che si possono percepire sono molte e di diverso tipo, ogni specie ne possiede un certo numero attribuibile solo a quella determinata specie. Per questo motivo, utilizzando un idrofono, è possibile capire non solo la direzione di provenienza della vocalizzazione, ma anche la specie di appartenenza relativa all’esemplare che si sta ascoltando ancora prima di identificarlo fisicamente. Un’altra caratteristica distintiva dei cetacei è la loro straordinaria capacità di compiere delle apnee con tempistiche che variano dai 10 minuti di Tursiope e Stenella (fino a 200m di profondità), fino a oltre due ore nel caso del Capodoglio (fino a 3000m di profondità). Questo è possibile grazie al fatto che i cetacei in immersione hanno un quantitativo di gas all’interno dei polmoni quasi nullo per evitare squilibri di pressione che non consentirebbero di raggiungere delle profondità così elevate. Di conseguenza, al momento dell’immersione i polmoni sono collassati, tuttavia, possiedono un grandissimo numero di pigmenti respiratori nel sangue e nei muscoli in grado di ridistribuire all’interno del corpo l’ossigeno proveniente dai ripetuti e ravvicinati atti respiratori che compiono in superficie. Questo aspetto viene sfruttato ampiamente in ambito di ricerca dal momento che, per esempio, in base ai tempi di apnea si può intuire il comportamento e l’attività svolta in quel preciso momento. È necessario, quindi, utilizzare un cronometro per registrare i tempi di apnea, i tempi di emersione, il numero di respirazioni in fase di emersione, e la distanza tra un getto e l’altro. Infine, uno strumento indispensabile è una macchina fotografica con un teleobiettivo che consenta di avvicinare il più possibile individui, anche se lontani, e fotografare determinate parti del corpo che verranno utilizzate in fase di rielaborazione e riconoscimento. La fotoidentificazione è una delle componenti principali per quanto riguarda la ricerca sui cetacei. Nel caso dei tursiopi, per esempio, ogni individuo nel corso della sua esistenza accumula un certo numero di segni identificativi derivanti da scontri, morsi e traumi di vario tipo che si traducono in quelle che vengono chiamate “tacche”, ovvero delle parti mancanti sulle pinne. Oltre alle tacche ci possono essere diversi altri segni come dei graffi o delle depigmentazioni che contribuiscono a delineare un profilo unico e distinguibile da tutti gli altri archiviati dei diversi database. In questo modo, mettendo insieme tacche, graffi e depigmentazioni è come se si fosse in possesso delle loro impronte digitali e, confrontando le immagini catturate con altre già presenti in diversi database, è possibile risalire al singolo individuo.


Le aree visitate

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La prima settimana di viaggio è cominciata da Marina di campo, una piccola località nella parte Sud dell’Isola d’Elba. Il programma del primo giorno era quello di arrivare in una zona a Ovest dell’Isola di Montecristo costeggiando l’Isola di Pianosa. La traversata sarebbe stata lunga e calda, tanto da costringerci a mangiare in navigazione nel tentativo di raggiungere la destinazione in un tempo sufficiente da lasciarci un po’ di tempo libero prima delle lezioni. Dopo qualche minuto dalla partenza, a poche miglia dalla costa, abbiamo subito avvistato un gruppo di tursiopi (Tursiops truncatus), presumibilmente femmine con dei piccoli. Solo dopo, grazie ai ricercatori del centro, siamo venute a conoscenza del fatto che gli avvistamenti sotto costa risultavano particolarmente frequenti in quel periodo per la presenza di un gruppo numeroso di individui relativamente fissi in quella zona. Passato il primo e voluminoso avvistamento, abbiamo proseguito sulla rotta verso la nostra destinazione. Il punto preciso, nel quale saremmo arrivati diverse ore dopo, corrisponde a un isolotto completamente in mare aperto che prende il nome di Africhella o Formica di Montecristo. Geologicamente si tratta di una zona in cui, pur essendo in mare aperto, la profondità si riduce enormemente fino ad arrivare a pochi metri. Questo fenomeno è dovuto al fatto che lo scoglio si trova in corrispondenza di una dorsale marina, la stessa che più a Nord ha generato le isole di Pianosa e Capraia. Il fatto che il fondale arrivi ad essere così vicino alla superficie dell’acqua, consente diverse attività come snorkeling ed escursioni subacquee. Inutile dire che abbiamo passato in acqua con pinne, maschera e boccaglio tutto il tempo libero che ci hanno concesso. Durante l’esplorazione abbiamo avuto modo di constatare la presenza massiva (oltre ai ricci di mare e a numerose specie di crostacei e pesci coloratissimi) di Lepri di mare, dei molluschi opistobranchi appartenenti alla famiglia delle Aplysiidae.

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Il motivo per cui abbiamo potuto osservare una concentrazione elevata di questi esemplari è che la profondità ridotta e il fondale roccioso permettono la crescita di una fitta vegetazione in prossimità delle rocce costituita da alghe verdi e fanerogame marine che vengono facilmente brucate da questi esemplari. Dopo aver trascorso 12h in un meraviglioso isolamento, la mattina successiva abbiamo ripreso a viaggiare, questa volta verso l’Isola del Giglio superando Montecristo. Nonostante la profondità elevata promettesse possibili avvistamenti di Stenelle (Stenella ceruleoalba) e Capodogli (Physeter macrocephalus), a metà strada tra lo scoglio d’Africa e l’isola di Montecristo, abbiamo fatto il nostro secondo avvistamento di Tursiopi. Una volta chiuso l’avvistamento abbiamo ripreso il viaggio e, dopo alcuni incontri tra cui diversi pesci predatori, pescherecci e un pedalò solitario disperso in mezzo al mare, abbiamo finalmente raggiunto il golfo di Campese (Isola del Giglio) dove abbiamo trascorso la nostra terza notte. Il giorno successivo l’obiettivo era di raggiungere una fossa profonda oltre 1000m che si trova tra la zona a Sud dell’Isola del Giglio, tra le ultime zone attribuibili all’Arcipelago Toscano, e la Sardegna. Essendo una zona particolarmente profonda rispetto a tutto il resto dell’Arcipelago, la possibilità di avvistare cetacei di grandi dimensioni era molto alta. Infatti, dopo pochi minuti passati ad ascoltare i rumori trasmessi dall’idrofono (che spiegheremo, più nel dettaglio, nel paragrafo dedicato agli strumenti) siamo stati in grado di riconoscere una serie di frequenze attribuibili a un capodoglio. Tuttavia, nonostante l’eccitazione, la voglia di vedere qualcosa di nuovo che ci era solo stato raccontato dai membri delle settimane precedenti e il silenzio per non perdersi nemmeno mezzo soffio, purtroppo la foschia e la lontananza non ci ha permesso di cogliere l’emersione di questo colosso del mare. Nonostante il mancato (per pochissimo) avvistamento, ancora una volta, abbiamo avuto modo di osservare il comportamento di tre curiosi tursiopi che si sono avvicinati molto all’imbarcazione. Il quarto giorno è stato il momento di tornare verso l’Isola d’Elba a Margidore, è stata una traversata tranquilla ma molto lunga che ci ha costretti, ancora una volta, a mangiare in navigazione. Quel giorno, dopo non aver avvistato alcunché durante tutto il tragitto, l’avvistamento è arrivato mentre stavamo mangiando a poche miglia dalla costa. I due giorni successivi sono stati fatti dei monitoraggi all’Isola d’Elba, molto vicini alla costa, spostandoci da Margidore a Secchetto, per l’ultima volta abbiamo avvistato alcuni membri del gruppo di tursiopi del primo giorno di monitoraggio, il giorno successivo avremmo raggiunto definitivamente Marina di Campo dove avremmo terminato, molto a malincuore, la prima parte di questa esperienza meravigliosa.

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La seconda parte di questa esperienza si è svolta in varie zone del Mar Ligure, nel cuore del Santuario Pelagos, una vasta area marina protetta per balene e delfini, classificata come Area Specialmente Protetta di Importanza Mediterranea (SPAMI). Più precisamente, l'area di studio si estende verso il mare da Sanremo, i confini sono approssimativamente Capo Mele sulla costa italiana, Saint Raphael sulla costa francese e la parte settentrionale dell'isola di Corsica. La seconda settimana ci ha riservato delle sorprese per quanto riguarda gli avvistamenti, dopo aver avuto modo di approfondire durante la prima settimana tutti gli aspetti riguardanti i Tursiopi, abbiamo avuto la fortuna di avvistare altre tre specie: la Stenella striata (Stenella ceruleoalba), il Capodoglio (Physeter macrocephalus) e la Balenottera comune (Balaenoptera physalus) che abbiamo avvistato ben tre volte, due volte individui singoli e una in coppia.


E il naufragar m’è dolce in questo mare

Proprio così, ci sono delle emozioni che non si dimenticano facilmente e che facciamo fatica a lasciarci alle spalle. Dopo un’esperienza di questo tipo si impara a guardare la vita di tutti i giorni in modo diverso, si impara ad apprezzare tante cose che, normalmente, diamo per scontate: l’elettricità, l’acqua dolce, gli spazi e molto altro. Si capisce che, per quanto siamo stati in grado di popolare la terra, non potremo mai farlo con il mare, e lo si capisce quando prendi coraggio e ti butti in mare aperto, guardi giù e non vedi nulla, vedi solo (o cerchi di immaginare) centinaia di metri di mare blu sotto di te e i raggi di luce che vi penetrano e ti senti tremendamente insignificante. Sulla barca si impara, con il trascorrere dei giorni, che nulla di ciò che è nel mare potrà mai appartenerti e, per quanto sia bella una conchiglia o qualsiasi altra cosa che si potrà trovare là sotto, non sarà mai nulla confrontato con il ricordo e le sensazioni che ci si porta dentro. E cosa dire del piacere di vedere sul telefono la scritta “nessun servizio”? Dopotutto, tutte le persone importanti per noi sapevano che ci trovavamo in mezzo al mare ma al sicuro, nessuno si è preoccupato, quante volte ci capiterà ancora di poterci permettere di perdere il contatto con il mondo per così tanto tempo senza conseguenze? È proprio quando ci si trova in queste situazioni che l’unica cosa che si può fare è guardarsi intorno, essendo in mezzo al mare si può apprezzare l’assenza di inquinamento acustico e luminoso. Ecco che il buio è veramente buio, il silenzio è veramente silenzio (salvo le onde che scivolano contro la barca) e ti rendi conto di quanta luce possano fare le stelle. Più volte abbiamo deciso di dormire fuori perché ci sembrava uno spreco dormire sottocoperta e in questo modo abbiamo collezionato i più bei cieli stellati, le più belle albe e i più bei colori che ci accompagneranno nel grigio della città nel corso dell’anno che ci aspetta.

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TO BE CONTINUED…


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Immagine CC0 Creative Commons, si ringrazia @mrazura per il logo ITASTEM.
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Fonti


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Are these dolphins? Whatever these are, they look awesome :)

Yes, something like that... They are Tursiops truncatus, a genus of dolphins... However, we are going to publish the post also in English ;)

Un lavoro, una ricerca, un'attività, una passione molto molto appassionante (scusa il gioco di parole) e di grande utilità. L'idrofono deve comunicare qualcosa di speciale. Io faccio un pò di bird watching e studio un pò i volatili. La cosa fantastica è quando vai a "fondo" nello studio. E poi (per es. con il binocolo) scopri cose che a occhio nudo non puoi vedere. Così come la vs ricerca, a livelli professionali, ovviamente. Il ricercatore fa questo: scoprire cose che noi semplici umanoidi non possiamo scoprire.

Sì, è vero... Ma pur senza andare così a fondo è possibile provare a inseguire le proprie passioni scoprendo un sacco di cose interessanti ;)

Ah ecco finalmente. Che bello davvero una fantastica esperienza. Attendiamo la seconda parte.
Un saluto, nicola

Davvero bellissimo!

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Che esperienza fantastica...e che super post! Grazie di aver condiviso con noi questo viaggio appassionato e sorprendente alla scoperta dei cetacei :)

Grazie a te ;) nei prossimi giorni cercheremo di postare anche la seconda parte...



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