Sophia de Marzo
Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 70 S5-P4-I2 di @storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @disagio.gang
Tema: Tempo delle mele
Ambientazione: Favelas
Sophia de Marzo
Eleganti calze a rete avvolgevano le gambe sode di Sophia de Marzo, mentre il suo rossetto rosso fuoco sorrideva alle auto che passavano.
<<Quanto?>>.
<<Quinhentos.>>.
<<Muito caro!>>.
<<Vale a pena, senhor.>>.
La maggior parte andava via, non aveva 500 Real per quel gran pezzo di menina.
Qualcuno restava: un regalo speciale. Un addio al celibato. Un ricco americano.
<<Mil para todos os três. Come on baby!>> le chiesero una notte tre ragazzi dall’accento straniero affacciati al finestrino di una cadillac argento.
Sophia, con l’arroganza dei suoi diciotto anni, si piegò con calma e sicurezza verso di loro, appoggiando un braccio sul bordo del vetro abbassato e adagiando appena su di esso il corsetto nero e lucido che le cingeva i seni pieni color caramello. Li guardò lentamente, fissandoli negli occhi uno dopo l’altro, lasciando loro il tempo di indugiare con lo sguardo sulla sua pelle morbida e sulle forme del suo corpo. Poi rispose languida ma secca: <<Cinquecento ciascuno. Io so quanto valgo, e lo saprete presto anche voi.>>
I tre stranieri, completamente soggiogati dal suo fascino, non batterono ciglio e la presero in macchina con loro, guidando lontano da quella zona di confine fra la città e le sue favelas, verso un albergo per occidentali.
Poche parole fra il tragitto e l’hotel: Pierre, Claude e Jordi erano in vacanza a Rio per qualche giorno, quindi sarebbero ritornati in Francia, raccontarono a Sophia de Marzo. Fra la hall e l’ascensore Sophia sorrideva ascoltando i loro discorsi, rispondeva a tratti con suoni gutturalmente sensuali, sbatteva le ciglia finte fingendo di spogliarli con gli occhi, già immersa in una parte che le avrebbe fruttato un buon guadagno senza nemmeno troppa fatica. Dopo tutti quegli anni conosceva bene quella tipologia di turista, fondamentalmente innocuo e dai desideri basici e poco rischiosi, più fantasie che realtà, altrimenti non sarebbe mai andata con loro a cuor leggero.
Quando gli scambi si conclusero e la porta dell’hotel si richiuse dietro di lei, separandola per sempre dai tre ragazzi ormai assopiti e soddisfatti, la sua bocca senza più rossetto smise di sorridere, assumendo un’espressione più congrua a quella dei suoi occhi e del suo cuore.
Si avviò svelta verso la strada, con le scarpe in mano. Le calze gliele avevano strappate via a morsi e ne restavano solo brandelli. Camminò un poco, poi si fermò davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici e rimase a fissare le immagini sincronizzate dei televisori esposti.
I pensieri, complice l’incontro coi francesi e le luminose immagini che scorrevano sugli schermi, corsero involontariamente a quel giorni di un remoto passato, a sua madre, a quella casa, a quando si chiamava ancora Cecilia.
Feste, soldi, bambine con cui giocava e che le regalavano vestiti e dolci e bambole che a loro non piacevano più. Un letto morbido e pulito in cui dormiva con la mamma, che lavorava come cameriera presso un ricco senhor della città. C’era la piscina, in quella casa, e anche la tv. Le bambine avevano spiato come in un gioco eccitante le sorelle più grandi e i loro fidanzati guardare un film che veniva dalla Francia. Dopo il film, ridacchiando per la marachella, si erano rifugiate sotto le palme nel gazebo del giardino, chiacchierando degli amori dei grandi che sospiravano guardando “Il tempo delle mele”. Quanto avevano riso, quell’assolato pomeriggio, scimmiottando alcune scene! Per questo aveva scelto quel nome d’arte, Sophia de Marzo, rielaborando la Sophie Marceau di un periodo felice.
Lo ricordava bene, quel giorno, Cecilia. Aveva dieci anni e quella notte cadde l’oscurità sulla sua vita luminosa e ancora spensierata.
Arrivò la polizia. Portarono via il senhor e sequestrarono ogni cosa. Vennero tutti licenziati.
Per un po’ la mamma fece del suo meglio per lavorare qui e là, cercando di proteggere la figlia dalle brutture del mondo. Cambiarono casa spesso, spostandosi sempre più vicine al cuore delle favelas. Poi la mamma si ammalò e morì. Cecilia venne presa per mano da una vicina di casa che gestiva un bordello e che se la portò via con sé subito dopo il funerale. Aveva tredici anni.
<<Adesso devi lavorare, minha querida>>
<<Posso lavorare come faceva mamma, dalle mie amiche che guardavano “Il tempo delle mele?”>>
<<Ahi! Menina! Per te è finito il tempo delle mele, ed è iniziato quello delle banane>>.
Complimenti, mi ha lasciato di stucco. Una verità nuda e cruda👍👍
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Anche se triste è un altro bel racconto. Brava @piumadoro
@tipu curate
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Grazie mio caro. La vita a volte è molto dura e molto triste, specialmente in alcune parti del mondo.
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