Le scarpe con le zeppe
Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 65 S5-P3-I2 di @storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @adinapoli
Tema: Scarpe nuove
Ambientazione: Officina
Ecco perché quando Gianni osò chiedere un paio di scarpe nuove, lucide e con le zeppe, come dettava la moda un po' disco un po' hippie di quegli anni, Salvatore dapprima lo guardò incredulo e stralunato, poi lanciandogli contro una pantofola mentre il figlio batteva in ritirata gli urlò: <<Trovati un lavoro e compratele da solo, disgraziato!>>.
Il fatto era che Gianni era stufo di indossare roba già appartenuta a qualcun altro: maglioni, camice, pigiami, persino la maggior parte delle sue mutande erano state indossate per anni da qualcuno o anche da tutti quanti i suoi fratelli maggiori. E ovviamente questo si notava: una toppa qui, un rammendo là, un indumento troppo largo o troppo stretto erano il suo elemento distintivo quando stava insieme agli altri coetanei. Era la sventura di nascere per ultimi. Per fortuna che a suo fratello maggiore, un anno e mezzo prima, era nata una femmina! Altrimenti il povero zio avrebbe di sicuro dovuto indossare persino i vestiti che alla nipotina man mano sarebbero stati piccoli!
Ormai aveva tredici anni, aveva il diritto a un paio di scarpe nuove tutte sue!, pensava mentre si rifugiava in camera gettandosi sul letto a peso morto. I suoi fratelli erano grandi e lavoravano tutti, ma non gli allungavano mai più di mille lire ogni tanto, perché avevano già famiglia a cui pensare. Solo uno era ancora in casa, ma essendo in procinto di sposarsi anche lui, metteva via ogni singolo centesimo.
Eppure lui quella notte in discoteca la sognava da mesi! Ad agosto, per la festa del patrono, avrebbero offerto una serata gratuita nella sala più alla moda della piccola città romagnola in cui viveva e non poteva sfigurare andando a ballare insieme agli amici, che di fratelli maggiori e di pene come le sue non ne avevano affatto.
“Ho deciso”, pensò, “da domani il lavoro me lo cerco davvero”, concluse aderendo infine al suggerimento paterno.
Era più facile a dirsi che a farsi, però.
Il primo giorno fece il giro di tutti i bar della zona, ma nessuno voleva un ragazzino così piccolo e senza alcuna esperienza. <<Dovrei prima insegnarti il mestiere e non ho tempo da perdere con te!>> gli diceva uno. <<Romperesti più tazze di quelle che potresti ripagare lavorando qui.>> gli rispose un altro, di certo un po’ prevenuto. <<Per questa estate vieni e impari,>> propose un terzo <<e se sei bravo dalla prossima inizio a pagarti!>>. Era dura confrontarsi con il mondo del lavoro.
Eppure Gianni non si diede per vinto ed il secondo giorno fece il giro di tutti i negozi e le botteghe, chiedendo se non avessero bisogno di un commesso o anche solo di un aiuto in magazzino. Ma vedendo quel ragazzino dinoccolato e giovane le risposte che ricevette furono identiche ai (più o meno) cortesi rifiuti del giorno prima.
Quando il terzo giorno Gianni fece, suo malgrado (sapeva che erano i lavori più duri), il giro di falegnami, fabbri e officine, le sue aspettative erano crollate al punto che si sarebbe accontentato di far qualcosa anche gratis o quasi pur di alimentare almeno un po’ la sua autostima. Non gli sembrò vero, quindi, che una piccola officina per mezzi agricoli accettasse di prenderlo come apprendista per la stagione. Si accordarono per dieci mila lire a settimana a cominciare da subito. Per agosto avrebbe certo avuto il denaro necessario alle sue belle scarpe nuove.
Pieno di buona volontà, Gianni si alzava ogni mattina per andare a lavoro e tornava a casa nel tardo pomeriggio, stanco ma tuttavia determinato. Il lavoro era duro, e nonostante fosse giovane non veniva risparmiato da nessuna fatica, anzi, in quanto ultimo arrivato doveva correre svelto di qua e di la e stare sempre attento a imparare in fretta ciò che gli veniva spiegato. Il figlio del proprietario, Enzo, aveva circa vent’anni ed era un ragazzo molto socievole, così che presto diventarono amici. Man mano che prendeva confidenza con lui, Gianni gli raccontò di quanto ingiusta fosse la sua vita di ultimogenito, e che non vedeva l’ora di avere abbastanza denaro per comprarsi quella cosa talmente banale e che tuttavia gli veniva negata dai crudeli genitori, che ogni giorno gli ricordavano di pensare a studiare per gli esami di settembre piuttosto che alle brutte scarpe da discoteca. Enzo lo ascoltava e taceva, annuendo comprensivo, sebbene di tanto in tanto gli angoli della bocca si allargassero in un piccolo sorriso sornione. Ogni tanto anche Enzo gli parlava di sé, dei suoi amici, della sua ragazza e della sua vita. Gianni scoprì che avevano in comune la scarsa voglia di studiare, solo che Enzo, bocciato due volte alle medie, l'anno passato aveva deciso di riprendere la scuola e aveva trascorso l'inverno frequentando i corsi serali dopo il lavoro. Gianni non aveva ben capito perché, intuiva che forse aveva a che fare con la fidanzata, o forse no. Certo che, pensava Gianni, doversi fare pure la scuola la sera, con addosso la stanchezza di un giorno di lavoro, non era certo la più desiderabile delle vite. E per cosa poi? Il futuro in quell'officina Enzo ce lo aveva già garantito, per cui perché darsi tanta pena? Di tanto in tanto gli sfuggiva un commento, ma Enzo non si arrabbiava e rispondeva solo "Le cose vanno fatte al momento giusto, un treno non passa mai due volte; io mi considero molto fortunato ad aver avuto una seconda occasione!"
Giunsero infine agosto e la settimana della festa tanto attesa, e con essi il momento di comprare le scarpe nuove. Aveva appena ricevuto la sua ultima paga, gliel’aveva data Enzo dicendogli “Va’, e scegli bene!”; così un pomeriggio, dopo il lavoro in officina, Gianni tornò a casa, si lavò, si cambiò, e aprì il barattolo di latta dove aveva faticosamente depositato tutti i suoi risparmi. Stringendo il suo tesoro, che ammontava alla bellezza di cinquantasette mila e quattrocento lire, si recò al negozio di scarpe più alla moda della cittadina, e si fermò ad ammirarne per l’ennesima volta le vetrine. Eccole li, quelle bellissime scarpe lucide e nere, dalle impunture bianche e con le zeppe alte. Pur stazionando dietro il vetro del negozio, Gianni riusciva quasi a sentirne il profumo di cuoio nuovo, e assaporava la suola liscia e l'interno morbido e pulito, che mai nessun altro aveva usato. Il cartellino del prezzo recitava “cinquantaquattromila e novecento lire”. Si toccò la tasca con orgoglio, stringendo forte il malloppo con un senso di trionfo poiché sapeva di possedere poco più della cifra necessaria. Si immaginava già con quelle indosso, i jeans a zampa e una camicia larga al centro della pista da ballo: avrebbe fatto furore e finalmente non sarebbe sfigurato davanti ai compagni di classe. Si avviò quindi verso la porta, ma afferrata la maniglia qualcosa lo trattenne dall'entrare. Rimase così, immobile, aggrappato all’uscio del negozio per alcuni secondi; poi si accorse che il proprietario lo guardava dall’interno con un sopracciglio sollevato per la curiosità e il disappunto. Girò i tacchi e se ne tornò a casa.
Non ci dormì la notte.
Che cosa lo aveva fermato, e perché? Non si dava pace e si riprometteva che il pomeriggio successivo sarebbe andato dritto a comprarsi quelle scarpe, ma poi subito dopo ci ripensava, e ricambiava idea ogni dieci minuti, intrappolato nell'indecisione.
L’indomani, arrivò all’officina stanco e irritato, e con tanto bisogno di parlare con Enzo, che era ormai diventato un altro fratello per lui.
<<Io ero lì, e loro erano lì, bellissime, lucide e nuove, e i soldi erano in tasca, e non mancava proprio nulla perché io entrassi in quel negozio e le comprassi. Un mese fa le avrei comprate di sicuro. Ma quando mi sono avvicinato all’ingresso per aprire la porta, qualcosa più forte di me mi ha bloccato, come se i soldi nella mia tasca si fossero fatti infinitamente pesanti.>>
<<Davvero? Curioso. Di sicuro ti è passato qualcosa per la testa... che cosa hai pensato?>> Chiese Enzo.
<<Nulla, è che ho lavorato davvero sodo per racimolare quel denaro, e pensavo che era davvero un peccato buttare un mese e mezzo di duro lavoro per un paio di scarpe così, che in fondo non mi piacciono poi nemmeno tanto!>>. Ancora una volta, Enzo sorrise senza dire una parola, ma Gianni non lo notò, era ancora assorto nei suoi pensieri. Dopo alcuni minuti, mentre stavano per completare il lavoro su un trattore, Gianni aggiunse all'improvviso, quasi risvegliandosi dal torpore e col tono di chi sta proseguendo un monologo interiore: <<Sai Enzo, credo che da domani non potrò più venire qui in officina: mi devo preparare per gli esami di riparazione prima che il mio treno se ne vada.>>
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