Ian Spencer McKinley
In campo lo si riconosce subito, l'unico ad indossare degli occhiali che sono decisamente fuori contesto. Occhiali che sarebbe più usuale vedere in una corsa di biciclette, al massimo in una piscina durante una partita di pallanuoto, non su un campo da rugby.
Ma facciamo un passo indietro: Ian Spencer McKinley nasce alla fine degli anni '80 nella periferia di Dublino. In Irlanda le scelte semplici sono poche, ma il rugby è una di quelle. Sempre presente, ogni quartiere, ogni cittadina ha la sua squadra, quindi giocare questo sport diventa quasi automatico. Se poi sei un ragazzone alto più di un metro ed ottanta, quasi non hai scelta. Allora inizi nelle giovanili di una squadra di periferia, vieni notato, provinato e selezionato per diventare professionista, alla soglia dei vent'anni giochi addirittura in nazionale, nei mondiali giovanili. Al suo fianco ha Sexton e Byrne, gente che oggi è nell'olimpo. La strada è spianata e la carriera sembra pronta per volare alto.
Foto di Daniele Resini per Wikipedia CC0 - Creative Commons - Libera per usi commerciali - Attribuzione non richiesta
Ma come ogni storia lieta c'è bisogno di un cattivo che renda più difficile il sentiero. Il cattivo di questa storia è un tacchetto che accidentalmente sfiora l'occhio sinistro di Ian. Dopo una prima operazione d'urgenza riprende ad allenarsi, dopo qualche mese anche a giocare, ma gli inevitabili, e continui, scontri di gioco rendono prima difficile, poi impossibile la situazione. In poche settimane la capacità di vedere per l'occhio sinistro vengono meno.
Ian Spencer McKinley deve smettere di giocare.
Una notizia simile metterebbe al tappeto chiunque. Ma il rugby è una droga, e la federazione irlandese è cosciente di avere un talento tra le mani, anche se dovrà essere spostato dal campo alla panchina. Un accordo con la federazione italiana lo porta ad Udine, ad allenare le giovanili locali. Impara l'italiano ed impara a capire il nuovo ruolo. Ma il campo manca e Ian lo fa notare a parenti ed amici.
Proprio il fratello, a Dublino, si mette alla ricerca di una soluzione, incontra un progettista e gli spiega il problema, in poco tempo le ramificazioni delle due federazioni arrivano fino al CONI.
Si cerca tra le conoscenze e le aziende sportive, fino a giungere ad uno sponsor che crede nell'idea, lo testa, anche grazie a Ian e ne fa un progetto vincente, all'avanguardia. Lo sviluppo è talmente buono che arriva fino alla federazione mondiale di rugby, che lo mette sotto la sua ala protettrice.
Ora Ian MeKinley può tornare in campo. Gioca mezza stagione con Udine, in una lega minore, poi passa al Viadana per 3 stagioni segnando 268 punti. Nel frattempo torna in una competizione internazionale, invitato dai Barbarians contro gli scozzezi dell'Heriot's. Finalmente il ritorno, in un campionato professionistico, a Parma, per una manciata di partite con le Zebre, per passare, dal 2016 alla Benetton di Treviso diventando una pedina fondamentale della franchigia veneta.
A questo punto entra in gioco un altro irlandese, Conor O'Shea, un giovane allenatore, in grado di portare gli Harlequins sulla vetta d'Europa, chiamato alla guida della nazionale italiana.
Le regole sul professionismo nel Rugby permettono cose quasi impensabili in altri sport, e Conor, visto che ne ha la possibilità, lo convoca per il tour primaverile del 2017, nel quale non giocherà nemmeno un minuto. Sarà solo 3 mesi dopo a Catania, un isola distante sia geograficamente che culturalmente alla sua, che Ian tornerà a solcare un campo vestendo la maglia di una nazionale. Che sia verde come l'erba irlandese o azzurro come il cielo italiano poco importa.
La cosa importante è che ora Ian Spencer McKinley è un giocatore fondamentale sia per la franchigia in cui milita, sia per la nazionale italiana, ma soprattutto nel 2019 ci saranno i mondiali in Giappone e Ian sarà in campo.
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