SELENYA: L’OMBRA DI SVADHISTHANA Capitolo 5
KAMA
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“Per l’ultima volta, Arvinda, quanto andremo avanti con questa pantomima? Siamo adulti da un quarto di luna e nessuno lo sa… è ridicolo. E più che ridicolo, sono abbastanza sicuro sia anche blasfemo.”
“Oh Kiran, ti prego: non di nuovo,” rispose Arvinda esasperata, cercando di sfuggire al fratello mentre finiva di sistemarsi l’uttariya sul capo. Il giovane indovinò che la frustrazione della sorella era diretta più alle complessità della vestizione che alla propria insistenza e cercò di approfittarne.
“Lo sai che ti potresti risparmiare tutta questa fatica, vero?! Come adulta, potresti acconciarti i capelli e dimenticarti del velo.”
“Uff… come la fai facile tu. Ti ricordo che come risvegliata avrei dovuto essere a Palazzo ore fa, quindi ormai sarebbe tardi per uscire allo scoperto. E siamo comunque in ritardo, quindi lasciami finire in pace di prepararmi!”
Kiran alzò per l’ennesima volta gli occhi al cielo, ma lasciò la sorella agli ultimi ritocchi, mentre raggiungeva la madre che proprio in quel momento aveva iniziato a chiamarli per uscire.
Indossando i sandali e gli ultimi bracciali, Arvinda ammise a se stessa che Kiran non aveva tutti i torti. Erano passati ormai quindici giorni dal loro comune risveglio e Arvinda ancora non si sentiva pronta a rivelarlo al mondo. Prima l’avevano preoccupata il futuro e l’apprendistato al tempio, poi dover affrontare Vaila e infine la tradizionale “parata delle vergini” di inizio luna. Insomma, per un motivo o per l’altro il loro risveglio era ancora un segreto e perché rimanesse tale i gemelli dovevano continuare a presentarsi al mondo come minori.
Da sempre, il governo di Svadhisthana era affidato a due regnanti, un uomo e una donna scelti e benedetti da Kundalini Kama come propri emissari tra gli uomini e chiamati a guidare il popolo con saggezza e passione. Come chiunque altro, i Diarchi erano liberi di amare a piacimento, ma erano altresì uniti da un legame indissolubile tra loro, un Kama sacro e inviolabile coronato, di generazione in generazione, dalla nascita dell’Erede.
Kundalini Kama, divinità lungimirante qual era, aveva assolto il suo popolo dall’incertezza della procreazione sin dall’inizio dei tempi: il concepimento era possibile solo mediante intercessione divina e se richiesto e desiderato da entrambi i partner. Non vi era mai la certezza che una determinata unione fosse fruttuosa, ma gli svadhi potevano almeno essere sicuri che non potesse esserlo contro la propria volontà. Ai Diarchi, in compenso, era concesso concepire un unico figlio, ovviamente l’uno con l’altra, che a tempo debito avrebbe preso il loro posto.
L’Erede cresceva come qualunque altro svadhi, libero di perseguire i propri interessi e le proprie inclinazioni in attesa del risveglio, ma apprendeva altresì l’arte del governo dai propri genitori e, una volta adulto, era tenuto ad incontrare ogni svadhistano del genere opposto che si fosse a sua volta risvegliato, fino a trovare il proprio Kama.
Ravi, l’attuale Erede, aveva già vent’anni e da cinque, ormai, accoglieva le nuove donne di Svadhisthana per un tè pomeridiano il primo giorno di ogni luna, in modo da poter incontrare e conoscere ciascuna di loro, aspettando un segno divino che indicasse, a lui e a tutto il popolo, chi avrebbe guidato il Regno al suo fianco. Solo dopo il Kama il vero apprendistato dei futuri Diarchi poteva avere inizio e i Diarchi in carica avrebbero iniziato i preparativi per il passaggio di consegne.
Il Tè dei Germogli, che i giovani di Adhisthana avevano ironicamente ribattezzato “parata delle vergini”, era ormai una tradizione del regno e i Diarchi ospitavano sempre, a seguire, una serata aperta alla cittadinanza che volesse accogliere assieme alla famiglia reale il sorgere della nuova luna. Arvinda, in quanto figlia del Loto Maggiore del Tempio e di uno stimato Emissario Reale, era stata spesso ospite a Palazzo e in più di un’occasione aveva avuto modo di trascorrere la serata assieme al principe Ravi e ad altri giovani delle famiglie più in vista di Adhisthana. Ciò nonostante, era risaputo che il Kama sarebbe stato possibile solo a seguito del risveglio di entrambi i futuri Diarchi e, pertanto, anche Arvinda avrebbe dovuto partecipare all’incontro di quel pomeriggio. La giovane sentiva, però, che il momento giusto non era ancora arrivato.
Peraltro, nonostante un vago senso di colpa per l’innocuo inganno, che coinvolgeva suo malgrado anche Kiran, non riteneva di aver sottratto al Regno o a Ravi una grande occasione. Magari l’Erede avrebbe trovato la sua metà della luna proprio questo pomeriggio o, se così non fosse stato, Arvinda avrebbe sempre potuto unirsi alla “parata” il mese successivo, se necessario. In cuor suo sperava, peraltro, di poterlo evitare. Contava, infatti, di passare già quella sera abbastanza tempo nella stessa stanza dell’Erede da poter essere poi sollevata dalla necessità di un incontro formale, una volta rivelato di averlo già incontrata da adulta.
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La serata si era rivelata molto piacevole. Il primo giorno di luna era sempre organizzato in modo da rendere omaggio alla luna nascente e perciò in questa occasione il salone del palazzo era decorato interamente di fiori, drappi e ornamenti dorati. Svadhisthana non poteva vantare un rapporto molto stretto con il Regno di Porpuraria, soprattutto in ragione delle norme di condotta sessuale particolarmente restrittive vigenti nel regno dorato, ma ne rispettava il rigore e l’organizzazione di governo ed in molti erano contenti di poter celebrare l’inizio della luna di Trimurti, salutando la fine della luna di sangue e il sentore di violenza di cui sembrava riempire l’aria stessa nelle notti in cui brillava sul mondo.
Arvinda aveva già fatto in modo di trovarsi tête-à-tête col fratello, per chiedergli ancora una volta scusa per la sua indecisione, consapevole che, a parte tutto, lo stava trattenendo dal godere appieno dell’età adulta. Kiran, come sempre, l’aveva abbracciata e rassicurata: “Tranquilla, sorellina. Possiamo aspettare. Ma se stasera non rientro a casa con te, non dirlo alla mamma!” L’occhiolino del fratello e il suo sguardo cospiratore l’avevano tranquillizzata più di ogni altra cosa. Magari in pubblico Kiran avrebbe mantenuto il suo segreto, ma era contenta che in privato iniziasse ad approfittare di tutto ciò che il loro nuovo status poteva offrire.
La giornata volgeva ormai all’imbrunire e gli ultimi raggi del sole morente avvolgevano la sala, caldi e ammalianti. Presto sarebbe sorta la luna e i giovani sarebbero rincasati per lasciare spazio a intrattenimenti più sacri e non adatti a loro. Il vociare a fondo sala annunciò l’arrivo del principe Ravi e della sua corte di donzelle. Casualmente, Arvinda e Kiran si trovavano accanto alla madre, in quel momento intenta a conversare fittamente con Devi Rania, Regina di Svadhisthana e madre di Ravi. Deva Amal, Suo Kama e Re, ammirava il tramonto non lontano da loro, perciò Ravi non esitò nel procedere nella loro direzione, mentre anche le donne con cui si era intrattenuto nel pomeriggio raggiungevano i propri familiari. Il fatto che non avesse nessuna al braccio indicava che anche stavolta la sua Kama non si era presentata.
“Buonasera madre, padre. Splendide ragazze anche questo mese, ma nessun segno divino.”
“Tranquillo, figliolo: la tua Kama arriverà e non avrai più alcun dubbio. Ancora ricordo il primo sguardo fra tua madre e me…” rispose Amal, abbracciando la moglie e baciandola teneramente sul collo. Ravi sorrise scuotendo affettuosamente il capo alle effusioni dei genitori e salutò Avati rispettosamente, mentre quest’ultima richiamava l’attenzione dei figli.
“Principe Ravi, sicuramente ricorderete i miei gioielli. Kiran, Arvinda, salutate il nostro Erede.”
“Kiran, vecchio mio, bentornato. Dovrete raccontarmi tutto di Kasi… ah… sì, cioè… Kasiha… spero vi siate… trovato…”
Ravi aveva accolto con entusiasmo Kiran, di cui era amico da tempo, ma nel salutarlo aveva già rivolto lo sguardo verso Arvinda, preparandosi a dare anche a lei il benvenuto. Nel momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli della ragazza, il tempo sembrava essersi fermato e Ravi non si era nemmeno reso conto di aver iniziato a farfugliare, con la mano di Kiran ancora stretta tra le sue. Arvinda, in compenso, fissava il principe e sembrava incapace di proferire verbo alcuno. Avati e i Diarchi avevano ricominciato a chiacchierare tra loro e non si erano ancora resi conto di nulla. Kiran, in compenso, intuì il momento di imbarazzo e si divincolò in fretta dalla stretta di Ravi, fingendo di non notare che il principe non aveva nemmeno finito la frase.
“Mio Principe, sarà un piacere raccontarvi tutto ciò che vorrete sapere, ma forse per ora preferite procurarvi qualcosa da bere per brindare alla nuova luna. Magari Arvinda può accompagnarvi.”
Ravi non rispose, né reagì all’amichevole pacca sulla spalla con cui Kiran aveva puntualizzato il proprio suggerimento. Per vero, né il principe né Arvinda sembravano aver prestato la minima attenzione alle parole di Kiran e continuavano a fissarsi dimentichi di ogni altra cosa, con un’intensità crescente che sembrava quasi rendere elettrica l’aria che li separava.
Kiran iniziò a preoccuparsi e volle richiamare l’attenzione di Avati e dei regnanti. Proprio mentre si rivolgeva alla madre, però, delle urla di sgomento li raggiunsero da una delle terrazze orientate a ovest, dove avrebbe dovuto sorgere la luna dorata. I tre accorsero a verificare cosa fosse accaduto e Kiran, dopo un’ultima occhiata perplessa a Ravi e Arvinda, ancora immobili, li seguì.
Quella notte, per la prima volta nella storia di Selenya, non sorse alcuna luna.
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L’oscurità sembrava non finisse mai. Era questo il sentimento comune a Svadhisthana riguardo l’assenza di luna, che continuava ormai da un ciclo intero. Le reazioni erano inizialmente state molteplici e nessuna particolarmente positiva: incertezza, sgomento, angoscia, terrore. Nessuno sapeva perché la luna non era sorta. Nessuno sapeva se sarebbe tornata. Nessuno sapeva cosa ciò significasse per Selenya, in generale, e Svadhisthana in particolare.
Quella prima notte senza luna, i regnanti avevano congedato immediatamente i loro ospiti, appena compresa la gravità della situazione, preferendo che ognuno tornasse alle proprie abitazioni. Fortunatamente, tale preferenza sembrava essere condivisa e nessuno si oppose né si attardò per le strade innaturalmente buie. Fu così che nessuno ebbe modo di accorgersi di ciò che era accaduto tra Ravi e Arvinda, tranne coloro che rimasero in compagnia dei Diarchi a Palazzo. Inizialmente, il Kama tra i due creò quasi più confusione del buio di luna, soprattutto considerato che nessuno ancora sapeva del risveglio di Arvinda. In breve, Kiran e Arvinda chiarirono la situazione e il portentoso evento venne celebrato informalmente ma con gioia tra i presenti.
Presto, però, la compagnia dovette tornare alla dura realtà dei fatti e affrontare l’immenso problema che aveva colpito il mondo così come lo conoscevano. Non trovarono alcuna risposta o soluzione quella sera. Con crescente sgomento, scoprirono di non riuscire a trovarla nemmeno nei giorni e nelle notti seguenti. Mentre il popolo di Svadhisthana si abituava, in un modo o nell’altro, all'oscurità della notte, i Diarchi e i loro più stretti collaboratori si sentivano sempre più impotenti e impreparati e meno spiegazioni riuscivano a darsi più cresceva il loro terrore.
Nessuno, tra coloro che ne erano a conoscenza, riteneva il Kama tra Ravi e Arvinda collegato all’assenza di luna: era chiaro che la coincidenza era stata solo casuale e non si sarebbe realizzata se Arvinda si fosse presentata al Tè dei Germogli. Ma proprio perché non l’aveva fatto, per tutelare sia la loro unione e il loro futuro che la tranquillità del Regno, i Diarchi avevano deciso di non annunciare il Kama fino a che non si fosse trovata la vera causa dell’oscurità. Erano state inviate missive alla Città Imperiale e a tutti i Regni con cui Svadhisthana intratteneva rapporti diplomatici. La buona notizia, se tale poteva considerarsi, era che il problema non riguardava solo Svadhisthana. La cattiva notizia era che nessuno aveva idea di cosa fosse successo. D’altra parte, col passare dei giorni sembrava sempre più evidente che nulla fosse cambiato, tranne la luna. Tra il popolo si era iniziato a mormorare che forse i timori iniziali erano stati eccessivi: non era certo che l’assenza di luna fosse definitiva, né che interessasse alcun altro regno se non Porpuraria, considerato che era la luna di Trimurti a non essere mai sorta. Perciò, più si avvicinava la fine della luna dorata più un certo fermento aveva ricominciato a cogliere la popolazione, che aveva lentamente ricominciato a vivere la notte e venerare Kundalini Kama in attesa della luna bianca della dea Kaja.
Dal momento del Kama, Ravi e Arvinda non si erano mai separati, come da tradizione e come da loro espresso desiderio. Arvinda era stupefatta e ammaliata dai sentimenti che la sola vista di Ravi aveva generato in lei e non dubitava minimamente del legame che il Dio aveva voluto stringere tra loro. Lo accettava e rispettava e ne era finanche contenta, quantomeno nella misura in cui Ravi era un gentiluomo ammirevole e sotto ogni aspetto adorabile, oltre che di indubbio fascino. Nei giorni immediatamente successivi al Kama Arvinda si era persino meravigliata di non aver riconosciuto il suo meraviglioso incarnato e la sua voce profonda nel protagonista del proprio risveglio.
Ciò nonostante, il Kama non aveva cambiato la ragazza che era stata e la donna che era, né i suoi interessi e desideri per il futuro. L’idea di un apprendistato di pochi mesi al tempio l’aveva spaventata, la prospettiva di diventare Diarca la atterriva. Per di più, sia Ravi che Arvinda erano forse i meno convinti che la loro unione non fosse in qualche modo collegata alla sparizione della luna e non avevano, pertanto, avuto ancora il coraggio di unirsi carnalmente. Perlomeno fino all’ultima notte di quella che avrebbe dovuto essere la luna dorata. Quella notte, decisero di tentare il tutto per tutto.
La sessualità aveva un forte potere a Svadhisthana, essendo veicolo di magia divina e il contatto più immediato che un credente potesse avere con Kundalini Kama. Inoltre, sia la verginità che un rapporto tra Kama poteva sprigionare un potere smisurato. Al tramonto del 61º giorno senza luna, Ravi e Arvinda cedettero infine al proprio reciproco desiderio, con la speranza che la loro Fede contribuisse al ritorno del mondo alla normalità. Si congiunsero nella stanza di Ravi, baciati dagli ultimi raggi del sole morente, nello stesso momento in cui i loro occhi si erano incontrati per la prima volta da adulti sessanta giorni prima.
Poco dopo, non fosse stato per l’eco dello stupore mistico e terribile che attraversò all’unisono Adisthana e l’intero regno di Svadhisthana, forse non si sarebbero nemmeno accorti che la luce che ora li avvolgeva, sostituitasi ai caldi raggi del sole, era di un ignoto color viola intenso.
the six shadows of the moon
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olio su acrilico
carolineschell
La Luna Rossa di Tlicalhua by @gianluccio
Cap. 1: Il Colpo
Cap. 2: La prigionia
Cap. 3: L'accordo
Cap. 4: Sussurri nel vento
Cap. 5: Il silenzio
La Luna Blu di Kasiha by @kork75
Cap. 1: Un anno prima…
Cap. 2: L'osteria il corallo blu
Cap. 3: Il confine
Cap. 4: Il maestro
Cap. 5: L’ultimo giorno di luna…
La Luna arancio di Svadhisthana by @imcesca
Cap. 1: Prologo pt. I
Cap. 2: Prologo pt II
Cap. 3: Risveglio
Cap. 4: Adulta
Cap. 5: Kama
La Luna Bianca di Alfhild by @acquarius30
Cap. 1: Concentrazione e addestramento
Cap. 2: Gelido come il cuore del Marchese
Cap. 3: Apparizioni
Cap. 4: L'ira di Freyja
Cap. 5: Caos
La Luna Dorata di Porpuraria by @coccodema
Cap. 1: L'inizio di una nuova vita
Cap. 2: la trasformazione
Cap. 3: il viaggio
Cap. 4: La scoperta
Cap. 5: I prescelti
La Luna Grigia di Rak-Thul by @mirkon86
Cap. 1: Leggenda e curiosità
Cap. 2: Il verso dei tamburi
Cap. 3: La fuga
Cap. 4: Domande e (sempre meno) risposte
Cap. 5: Artefatti e premonizioni