Il sistema pensionistico - Pt. 2 "Il ventennio riformista"
Torno a parlare di previdenza e pensioni.
Su Steemit siamo in media tutti abbastanza giovani da non porci il problema, ma non è una questione di età.
Il problema delle pensioni riguarda anche i più giovani perché, come ho già spiegato, letteralmente siamo noi a pagarle.
Nell'ultimo post ho parlato dei problemi che hanno portato il sistema in deficit, oggi vediamo di analizzare come si è provato a porre rimedio.
La stagione riformista inizia negli anni 90. Al fine di riequilibrare il sistema previdenziale, nel 1992 viene emanato il d.lgs. 503/1992, la c.d. “riforma Amato”. La poco coraggiosa e utile riforma prevede subito due importanti modifiche, l'elevazione di 5 anni dell’età pensionabile per uomini e donne e l'elevazione degli anni di contribuzione minimi necessari da 15 a 20.
La riforma non sortisce alcun effetto, così 3 anni dopo è già tempo di cambiamento.
Nel 1995 la legge 335, "riforma Dini", stravolge strutturalmente il sistema pensionistico:
• Elimina le “pensioni baby”, sostituite dalla pensione di anzianità. La pensione di anzianità è collegata al numero degli anni di contribuzione. Il diritto si maturava al raggiungimento di 40 anni di contributi.
• Introduce il c.d. “pensionamento flessibile”, cioè la possibilità di andare in pensione tra i 57 e i 65 anni, se raggiunti i 35 anni di contributi. Il pensionamento di vecchiaia scattava comunque al compimento dei 65 anni per gli uomini e 60 per le donne.
• Fissa un massimale di retribuzione ai fini del calcolo della pensione.
• Modifica il sistema di calcolo della rendita pensionistica:
• Introduce il metodo di calcolo contributivo che sostituisce quello retributivo. Il metodo contributivo si basa sul montante contributivo individuale, che viene adeguato al PIL e moltiplicato per un coefficiente che sarà tanto più alto quanto più alta è l'età in cui si decide di andare in pensione. Mentre quello retributivo prendeva come riferimento la retribuzione degli ultimi 5 anni.
La riforma, crea un sistema pensionistico misto, stabilendo che il sistema di calcolo da utilizzare si differenzia a seconda dell'anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995:
- Il metodo contributivo per i lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996.
- Il metodo retributivo per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano cumulato più di 18 anni di contribuzione.
- Il metodo pro-rata, per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano cumulato meno di 18 anni di contribuzione. Secondo tale metodo fino al 1995 il calcolo sarebbe stato retributivo e dal 1996 contributivo.
Si rimane con questo sistema per una decina di anni, ma la crisi finanziaria impone nuove riforme. Si succedono così la Riforma Maroni nel 2005 e la riforma Padoa-Schioppa nel 2007.
La prima abolisce il principio del pensionamento flessibile e si preoccupa di fissare a cadenza triennale l'innalzamento dell'età pensionistica.
La Seconda invece introduce il sistema delle quote, secondo il quale per andare in pensione bisogna aver raggiungo un determinato target calcolato sommando anni di contribuzione ed età anagrafica.
Nel 2010 è il turno di Sacconi.
"Spinti" dall'UE che chiede di adeguare la legislazione interna alle leggi sulla parità dei sessi, la riforma parifica l’età pensionabile della donna a quella dell’uomo nel pubblico impiego e introduce l’adeguamento dell’età minima all'incremento della speranza di vita.
Ma è solo nel 2011 che il sistema conosce la sua forma attuale, con la tristemente nota Riforma Fornero.
-Il Ministro del Governo Monti fa la scelta coraggiosa di applicare a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo a partire dal 1° gennaio 2012, dunque anche a coloro che nel 1995 vantavano più di 18 anni di contributi e che avrebbero beneficiato del calcolo retributivo. In termini pratici si ottiene un risparmio di qualche milione annuo.
-Abolisce il sistema delle quote e la pensione di anzianità (cioè la pensione collegata agli anni di contribuzione), sostituendola con la, geniale, pensione di "vecchiaia anticipata" con la quale si acquisisce il diritto alla pensione, indipendentemente dall’età anagrafica, con 41 anni e un mese di contributi per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini.
-Predispone l’adeguamento dell’età pensionabile in relazione alla speranza di vita a cadenza biennale dal 2022 creando il problema degli “esodati” cioè di quei soggetti che licenziati con la “mobilità lunga” in quanto prossimi alla pensione, alla scadenza dell’indennità di disoccupazione non avrebbero ancora i requisiti per percepire la pensione, rimando senza pensione, lavoro e indennità di mobilità.
L'incredibile innalzamento dell'età pensionabile è sicuramente il tema più dibattuto negli anni successivi alla riforma Forneno. Nel 2017 si tenta di porre parziale rimedio prevedendo l'APE sociale e l'APE volontaria.
Sulla seconda non mi soffermo, essendo un mero prestito bancario spacciato per trattamento pensionistico. Sulla prima invece è utili dire qualcosa.
L’Ape sociale è un intervento di tipo assistenziale in quanto è erogata dallo Stato mediante l’INPS senza alcun onere per il lavoratore che ne beneficia. Ne possono beneficiare coloro che:
Sono iscritti all’AGO, e hanno versato almeno 30 anni di contributi. Per il computo non vengono conteggiati i periodi contributivi maturati in Paesi stranieri, anche se dell’UE; in quanto, essendo una prestazione assistenziale, si richiede che il reddito sia stato prodotto in Italia. Inoltre se il soggetto ha svolto lavori usuranti possono essere richiesti periodi inferiori.
Hanno un’età non inferiore a 63 anni e matureranno i requisiti per il pensionamento di vecchiaia nei successivi 3 anni e 7 mesi (i quali diventeranno 4 anni nel 2019 quando si potrà andare in pensione a 67 anni)
Devono trovarsi in determinate condizioni, indicate in un elenco tassativo allegato alla legge di bilancio:
• I lavoratori in stato di disoccupazione a causa di licenziamento collettivo o perché è scaduto il termine del rapporto di lavoro a tempo determinato.
• I lavoratori che si occupano della cura di familiari con patologie gravi; riguardo a tale punto l’INPS ha precisato che può essere richiesto solo da un soggetto della famiglia.
• I lavoratori gravati da una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74%.
• I lavoratori addetti ad un’attività lavorativa per la quale è richiesto un impegno tale da rendere difficoltoso ovvero rischioso il suo svolgimento in modo continuativo.
L’Ape sociale non può essere superiore a 1.500 euro al mese e non prevede la tredicesima, inoltre non è soggetta a rivalutazioni e probabilmente sarà tassata in quanto equiparata al reddito da lavoro dipendente.
Siamo quindi arrivati al 2018.
20 anni di riforme hanno portato ad un parziale miglioramento del deficit finanziario ma hanno sicuramente contribuito a creare un sistema iniquo, in cui il contribuente non gode mai dei frutti del proprio lavoro.
Ho letto di fretta, troppo di fretta lo ammetto ma abbastanza attentamente da capire che hai scritto un gran pezzo, un approfondimento che merita risonanza e spero ne avrai. Bravissimo.
Diciamo che non sono riuscito a dare un taglio abbastanza scorrevole. Purtroppo l'argomento è molto tecnico e i limiti di formattazione non aiutano! Tuttavia ti ringrazio
No ma mica è colpa tua! E' che io ho poco tempo e quindi ho dato una letta velocissima! Hai scritto molot bene secondo me.
Sistema iniquo soprattutto per i più giovani che hanno iniziato a lavorare negli ultimi anni, perché è su di loro che si abbatterà l'alta età pensionabile della Fornero, mentre chi è già andato da poco in pensione (o ci andrà tra poco) l'ha fatto con un'età media di 62-63 anni, tra le più basse in Europa.
Il problema fondamentale è che da queste riforme difficilmente si torna indietro. Ottimisticamente in 20 anni avremmo "eliminato buona parte" di baby pensioni e "pensioni d'oro" e inoltre il sistema poco equo consentirebbe una veloce rientro dal deficit, questo per assurdo potrebbe riportare l'età contributiva a parametri accettabili. In ogni caso il vero e grande problema io lo rintraccio nella totale assenza di giustizia..versare migliaia di Euro per riceverne solo pochi, questo infastidisce.
Sarebbe molto più equo un sistema a capitalizzazione, ma è più semplice dirlo che farlo