I Was an Alien Before You! (il sequel)

in #ita7 years ago (edited)

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Buongiorno a tutti e bentornati sulle frequenze subspaziali di Altrimondi… mi scuso per la lunga assenza, ma in questi giorni mi è toccato ammettere, benché a malincuore, che anche noi extranauti dell’ultramondo siamo sensibili all’azione di virus, batteri e malesseri terrestri vari & assortiti… In ogni caso, eccomi ed eccoci! Riprendiamo il filo lasciato in sospeso (voi potete acchiapparlo qui) e torniamo a parlare di mostri non-terrestri e astronavi, inseguendo il sentiero tracciato dai presunti “ispiratori” di Alien – film topico e seminale che, come certo sapete, ha segnato il cinefantastico del Ventesimo secolo…

PS - Tutte le immagini di questo post sono di mia esclusiva proprietà.

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Ci eravamo lasciati – ricordate? – accennando a It! The Terror from Beyond Space (ovvero Il mostro dell’astronave), come a una delle imprescindibili fonti del capolavoro ridleyscottiano, ed è ora di dare un po’ di sostanza a questa illazione – sempre che sia possibile, naturalmente. Da principio, non sembra un compito facile: il film firmato da Edward L. Cahn nel 1958, di fatto, non è che un tipico prodotto dei suoi tempi. Scenografie di cartone, astronavi in forma di razzo argentato che galleggiano sospese a fili di nylon, cosmonauti imbrillantinati in tute da meccanico e cosmonaute che servono loro la cena e il caffè (per poi, presumibilmente, appartarsi a lavare i piatti mentre gli uomini discutono di football e politica). Non è esattamente un documento rivoluzionario, insomma. Anzi, appare come uno dei più pigri e triviali episodi della “drive-in culture” che imperversa negli Stati Uniti dei magici Fifties… Eppure non si può negare che possieda un suo, diciamo così, sinistro fascino. Fin dall’incipit apprendiamo che il colonnello Edward Carruthers (l’attore Marshall Thompson) è l’unico sopravvissuto della solita missione su Marte: secondo il suo racconto, “Qualcosa” sarebbe sbucato da una tempesta di sabbia per portarsi via tutti gli altri membri dell’equipaggio, lasciando solo lui a godersi il brullo paesaggio marziano, lì a un fantastiliardo di miglia da casa... Come se non bastasse, sulla Terra si sono convinti che sia stato proprio Carruthers ad ammazzare tutti quanti e hanno inviato una nuova spedizione con l’unico scopo di condurlo davanti alla corte marziale.

Per sua fortuna – si fa per dire – il mostruoso Qualcosa sterminatore si rifà vivo e, infilatosi di straforo sulla nave dei “salvatori”, inizia a impegnarsi al massimo per rendere il viaggio di ritorno il più possibile piacevole – ovvero mortale. Il risultato è una disfida all’ultimo sangue tra gli umani e l’inafferrabile marzianaccio che si consuma negli angusti locali della nave e – guarda un po’ – in particolare nei canali d’areazione… Lotta senza quartiere che sembra ripercorrere il solco tracciato sette anni prima da The Thing from Another World (super-cult che prima o poi ci capiterà tra i piedi) e anticipare nel contempo i tanti survival che ancora oggi tornano insistentemente a infestare il cinema horror… Ecco dunque un altro mostro-nel-labirinto (se ne è parlato qui) che rinfresca l’antica tradizione del Minotauro cretese. Ma soprattutto, ecco uno di quegli indimenticabili reperti dell’effetto-speciale-fatto-in-casa che i fanta-nerd amano disperatamente. La classica rubber suit, la tuta di gomma dell’alieno, ideata da Paul Blaisdell (forse non a caso, uno dei più misconosciuti designer nella storia del grande schermo) è un capolavoro di grezza goffaggine e l’andatura del suo ospite (lo stuntman Ray Corrigan) – che procede trascinando i piedoni come un ubriaco in ciabatte – risulta leggermente imbarazzante per l’occhio ipersensibile dello spettatore odierno. In nessun caso il greve cavernicolo extraterrestre che brancola in quei fotogrammi potrebbe essere credibilmente avvicinato alla luciferina perfezione stilistica e alle movenze teatrali della creatura che Hans Ruedi Giger e Carlo Rambaldi avrebbero realizzato nel ’79… Eppure non si può negare che l’astuta mano di Cahn seppe cammuffare il tutto quanto bastava per salvare il salvabile.

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Si dice che Dan O’Bannon, autore dello script di Alien insieme a Ronald Shusett, fosse uno sfegatato fan de Il mostro dell’astronave, ma è, come spesso accade in questo campo, un’affermazione difficile da verificare e che – quand’anche si rivelasse fondata – aggiungerebbe poco alla nostra piccola divagazione. Il contributo offerto al film di Scott da quello di Cahn, in fin dei conti sembra davvero essere modesto: uno spunto, certo, ma tutto da sviluppare. Sempre che non siate capaci di intagliare una lanterna di Halloween nel seme di una zucca…
A questo punto, però, ecco che un’altra voce si alza dalla platea dei cercatori di plagi. Ed è una voce tutta italiana. Secondo questa nuova versione, a dare l’input iniziale alle cruente avventure degli xenomorfi (che, vale la pena di ricordarlo, cominceranno ad essere chiamati così solo dal 1986) sarebbe stato niente meno che Terrore nello spazio, un piccolo, adorabile gioiello su celluloide realizzato nel 1965 dal nostrano genio del cinema low-budget Mario Bava. “Tra sessanta frazioni di megon cominceremo l’accostamento al pianeta”, è solo una delle tante piacevolezze di un sceneggiatura (tratta dal racconto di Renato Pestriniero Una notte di 21 ore) che pur se infestata da battute inutilmente auliche e da puerili astruserie pseudo-tecnologiche, rimane comunque più che godibile. Il succo concentrato è semplicissimo: la nave interstellare Argos e la gemella Galiot vengono attratte verso un remoto e inospitale pianeta da un misterioso segnale radio e quindi trascinate sulla sua superficie da una forza irresistibile. Qui dovranno fare i conti con delle inquietanti presenze aliene – incorporee e invisibili, ma letali – che vogliono impossessarsi dei loro corpi… E tanto basti. In questo caso, l’affinità con il film di Scott non è garantita dalla presenza di qualche abominevole creatura antropofaga, ma da un’atmosfera visiva, un gioco di suggestioni gotico-spettrali che aleggiano in tutta la pellicola. Bisogna in effetti ammettere che Bava – che fu veramente un brillante artigiano-artista dell’illusione ottica, degno successore di Georges Méliès – è riuscito con un po’ di cotone idrofilo, ghiaccio secco, pochi modellini di plastica e qualche quintale di cartapesta (il tutto combinato con le giuste luci), a creare una scenografia che ha poco da invidiare a quella costruita per l’LV-426 (ovvero Acheron), il terrificante planetoide di Alien
E questo, per ora, è tutto. Grazie e a presto… Spero.

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Grazie @gianmaria, la tua passione e il tuo entusiasmo per questi argomenti rendono ancora più avvincente il dipanarsi dell’intreccio tra tematiche del fantastico, sviluppo dell’immaginifico sci-fi e ingegno nell’ideare gli effetti speciali di corredo e complemento.
Mi sembra di notare come “geograficamente” gli influssi di invenzione e libera ispirazione si siano sviluppati in massima parte in Nord America ed Europa. Mi sapresti dire se nella definizione di questo genere abbiano avuto un ruolo anche altre regioni ?

Caro @grendellor, grazie a te! :-)
Di fatto, la questione che poni è tutt'altro che banale - la conoscenza eccezionalmente approfondita che possiamo avere di certe specifiche tradizioni fantastiche è legata (come qualsiasi altra forma di conoscenza, del resto) a contingenze storiche, ovvero allo spazio che alcuni Paesi o blocchi di Paesi hanno conquistato, su scala globale, per le proprie industrie culturali nazionali. Da questo punto di vista non è difficile capire perché il cinema statunitense sia così presente in qualsiasi trattazione sul tema. D'altro canto, è pur vero che la matrice anglo-sassone del gotico letterario e della prima science fiction è generalmente riconosciuta a prescindere da quanto appena detto... Ciò non toglie comunque che esistano percorsi nel fantastico cinese, australiano, russo (in particolar modo ex-sovietico), giapponese o africano che sono altrettanto interessanti e che - grazie al progressivo moltiplicarsi ed espandersi delle "vie di comunicazione" :-) - diventano sempre più accessibili tanto alla distribuzione commerciale quanto allo studio degli appassionati... Senza dubbio, per "Altrimondi", è una dimensione da sviluppare, ed è uno stimolo - il tuo - che coglierò al volo! Grazie ancora e a presto.

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