Una Luna rosso Sangue - Pt.3 L'Accordo

in #ita5 years ago (edited)

Nahua si voltò di riflesso, come un gatto che si gonfia di fronte a un pericolo inaspettato: non aveva sentito il minimo rumore, né percepito uno spostamento d’aria. Non aveva mai sperimentato la magia prima d’ora… ma era certa come la morte che l’uomo che aveva davanti avesse usato un incantesimo.

Poggiava la schiena sul muro della cella; indossava una pesante tunica di cotone color rosso acceso, pantaloni e stivali di pelle nera e un cappuccio foderato di pelliccia che gli copriva il viso. Sembrava terribilmente fuori luogo, considerato il caldo umido e afoso che opprimeva La Fossa; ma ancor più fuori luogo era ciò che teneva tra le mani, coperte da guanti dello stesso materiale dei suoi stivali.

Era un uomo alto e molto magro, quasi rachitico; la metà degli uomini di Tlicalhua poteva vantare una circonferenza del bicipite maggiore della sua cassa toracica. Perfino le gambe erano magre e ossute… nonostante ciò, noncurante teneva nella mano sinistra un’ascia bipenne alta almeno due metri, forgiata di uno strano metallo rosso che sembrava pulsare e cambiare tonalità in continuazione.

Nahua ebbe un sussulto quasi doloroso; provò ad aprire la bocca per parlare, ma non uscì alcun suono.

“Esatto, cara ragazza” disse l’uomo con una voce inaspettatamente profonda per un corpo così esile. “Il mio nome è Tlahuil: Arcimago della Fiamma Eterna, Rettore dell’Accademia di Tepetl Ytzicotla, Capo dell’omonimo Clan e, da qualche settimana…”

L’uomo abbassò il cappuccio.

Nahua osservò il viso di un uomo anziano, completamente calvo, con una corta barba bianca che gli incorniciava il mento; aveva una profonda cicatrice che dalla fronte gli attraversava l’orbita vuota dell’occhio destro e gli finiva sulla guancia. Nonostante ciò, due caratteristiche del suo volto fecero cadere la giovane in ginocchio.


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Per prima cosa, le vene sulle sue tempie erano gonfie e sembravano stessero per scoppiare da un momento all’altro. Secondo, il suo occhio sinistro era completamente rosso: ardeva di un fuoco soprannaturale, dello stesso colore della Luna di Sangue. Ardeva della fiamma eterna del Dragone, di una sete di sangue mai soddisfatta, del potere infinito di una divinità.

“…da qualche settimana, Avatar di Dragath-Xhul”.

Nahua non aveva mai incontrato un dio.

Il suo passato di sangue e dolore l’avevano preparata a molte cose, ma non a questo. L’uomo davanti a lei, a prima vista così fragile, ora sembrava schiacciarla sotto il peso di un potere enorme. Aveva l’impressione di essere di fronte alle pendici di una montagna in procinto di franare.

Tlahuil ricominciò a parlare con voce lenta e posata, come se stesse raccontando una favola ad una bambina.

“Come saprai, qualche settimana fa si è svolto il Rito del Massacro. Solitamente, solo i migliori guerrieri del regno vi partecipavano… gente tutto muscoli e niente cervello. Noi maghi ci siamo sempre tenuti lontani dal Rito per diverse ragioni. La più importante: la magia Divina e quella Arcana non possono convivere all’interno dello stesso corpo. Nessun mago avrebbe rischiato di perdere anni di studio e di sacrifici solo per alzare quest’ascia. Meglio lasciare che fossero uomini con il quoziente intellettivo di un topo a prendere il comando; noi stavamo studiando le leggi del cosmo per piegarle al nostro volere, noi non volevamo il potere di un dio… noi volevamo SOSTITUIRLO.”

Improvvisamente la vena sulla tempia destra dell’uomo si gonfiò in modo innaturale ed egli emise un gemito di dolore tenendosi la testa. Nahua sentiva che l’ultima affermazione dell’Arcimago aveva scatenato qualcosa… qualcosa di pericoloso e terribile.

L’uomo, sudando copiosamente, le sogghignò e riprese a parlare ansimando: “Devo… devo ricordarmi che Dragath-xhul è dentro di me. Tenere la sua volontà a bada richiede una forza di volontà pazzesca… per questo sono stato scelto. Ero l’unico in grado di farlo… l’unico capace di mantenere il controllo.”

L’uomo continuò a tenersi il volto per un minuto buono.

Era il momento: Nahua si tirò in piedi nonostante le gambe tremanti e senza emettere alcun rumore, si avvicinò alla porta pronta alla fuga.

L’Avatar alzò una mano e per una frazione di secondo la realtà cessò di esistere, per poi prendere forma nuovamente: Nahua si ritrovò in una semplice stanza con un letto, un paio di sedie, un tavolo apparecchiato, un armadio in legno e una finestra; accanto alla porta, prendevano posto le due guardie che la portarono nelle segrete, ferme sull’attenti. La guardavano con un sorriso malvagio sul volto.

L’anziano mago si sedette su una sedia e riprese a parlare: “Un uomo quando diventa vecchio passerebbe ore a sentire la propria voce; potrei raccontarti di come ho incenerito tutti i partecipanti al Rito, di come ho perso l’occhio, di come in un modo o nell’altro sia riuscito a conservare parte dei miei poteri magici… ma il tempo stringe ed è ora di andare dritto al sodo.”

Detto questo, indicò una delle guardie con l’indice e in una frazione di secondo, l’uomo senza un orecchio divenne polvere. L’altra guardia smise di sorridere e fissò l’Avatar con uno sguardo inebetito.

“Queste sono le guardie che ti hanno portato in cella giusto? Posso evocare anche tutte le altre che hanno abusato di te e ucciderle. Credo che questo sia il minimo per cominciare una trattativa.” Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla ragazza. “Mi hanno detto che sei riuscita ad infiltrarti nel palazzo delle ambasciate senza che nessuno se ne accorgesse; che hai ucciso due guardie esperte senza neanche dar loro il tempo di reagire. Inoltre sei una donna: in una società così maschilista, nessuno penserebbe mai che una donna sia capace di simile prodezze.”

L’uomo avvicinò il volto a un palmo dal suo, l’unico occhio la scrutava come se potesse leggerle dentro l’anima. “Ho bisogno di una spia. Ho bisogno di occhi e orecchie fuori dalle mura del palazzo, fuori dalla Fossa. Occhi e orecchie che non siano riconducibili a me o ai maghi di Tepetl Ytzicotla. Che possano fare il lavoro sporco, se necessario. Nessuno sospetterà un collegamento tra l’Avatar ed una schiava fuggitiva.”

Il suo alito aveva l’odore di alcool, di rose e di sangue.

Nahua, prese un coltello dal tavolo e con un unico, fluido movimento, senza staccare gli occhi dal Mago del Fuoco, lanciò il coltello verso la guardia ormai terrorizzata, infilzandogli il collo. Il guerriero si accasciò, cercando inutilmente di tamponare la ferita che gli aveva reciso la carotide.

“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno per uccidere i miei nemici” disse Nahua, prendendo l’altro coltello sul tavolo e fronteggiando l’Avatar, guardandolo con occhi carichi di sfida e tradendo giusto un lieve tremolio nella voce. “Inoltre non prendo più ordini da nessuno. Puoi essere anche l’Avatar, l’Imperatore, l’intero concilio degli dei per quanto me ne possa importare. I miei giorni da schiava sono finiti: piuttosto, preferisco morire da donna libera”.

Nahua caricò un fendente mirato al collo dell’anziano Arcimago; quando l’arma improvvisata arrivò a pochi centimetri dal suo collo si sciolse come neve al sole, e la giovane ragazza ritrasse la mano stringendo i denti e mostrando una pesante ustione.

“Posso coprirti d’oro se vuoi” disse Tlahuil, mentre la ragazza tentò di lanciarsi dalla finestra ma scontrandosi contro un muro di forza invisibile.

“Non me ne faccio niente del tuo denaro insanguinato!” disse lei, scavalcando il corpo senza vita della guardia e cercando di aprire la porta che sembrava chiusa a chiave.

“Posso darti il potere… renderti la mia regina!” rispose l’uomo con voce melliflua.

Nahua stava tentando di sfondare la porta a spallate, senza successo. “Non mi interessa il potere, soprattutto se significa dover sposare una carcassa come te”.

“Posso farti uscire da Tlicalhua e renderti libera” disse lui, con una nota spazientita nella voce.

Lei si voltò, guardandolo negli occhi. “A cosa servirebbe? Che senso ha ora che avete ucciso l’unica persona importante della mia vita?”

L’Avatar sorrise; nella penombra della stanza sembrò che un’altra persona stesse sorridendo dietro di lui.

“Ah, ora ho capito. Ora mi è chiaro. Nahua… io posso farlo tornare. Posso far tornare in vita il tuo… Itochu, giusto? Ma solo se lavorerai per me.”

Nahua si stropicciò gli occhi lucidi con la bocca spalancata. Fece per dire qualcosa, poi ci ripensò. Infine sussurrò, quasi tra sé e sé.

“…Puoi farlo davvero?”

Lo disse con un tono di voce che non era il suo; non era quello aspro e cinico che aveva con il resto del mondo, ma quello dolce e vulnerabile che riservava solo alle persone a cui voleva bene.

“Sono l’Avatar, ho in me il potere di una divinità. Certo che posso farlo.” Allungò una mano verso di lei. “Abbiamo un accordo?”

Sul muro scarsamente illuminato dalla fievole luce della finestra semichiusa, due ombre unirono le proprie sagome: quella di una giovane schiava fuggitiva mossa dall’amore e quella grande e terribile della Malvagità fatta persona.

La Luna Rossa di Tlicalhua by @gianluccio
Cap. 1: Il Colpo
Cap. 2: La prigionia

La Luna Blu di Kasiha by @kork75
Cap. 1: Un anno prima
Cap. 2: L'osteria il corallo blu


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🔴🎼🎵🎶 Reeed moooon... We will kill and burn someone! 🎵🎶😂😉

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Fill my heart with song
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All I worship and adore

;)

Davvero potente il tuo modo di narrare questi accadimenti, un altro capitolo intenso e coinvolgente, decisamente ben realizzato, complimenti caro @gianluccio, gran bel lavoro

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Grazie carissimo :)

Mi associo ai complimenti @gianluccio.

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Thank you very much 😉

Hi, @gianluccio!

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Quando pubblicherai il libro vengo a farmi autografare una copia!

Mi sto già allenando per gli autografi, sarò pronto per quando sarà il tempo ahahah grazie!

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