Dal lontano passato

in #ita7 years ago

Agosto 1961, Marina di Grosseto

La giornata era luminosa, pur se ventosa, sulla spiaggia grande e libera, dove robusti padri nel fiore degli anni avevano piantato ombrelloni che proteggessero dal sole le loro graziose mogli e, soprattutto, i preziosi pargoli.
Giovanna e Marzia, un tempo compagne di scuola e ora colleghe, trascorrevano insieme quell’estate così placida che sembrava non dover mai finire.
Erano fortunate, loro. Avevano un lavoro che in estate le lasciava libere di occuparsi della famiglia e, nel contempo, dava forza alla loro identità. Non erano solo la moglie di…, la madre di…, erano ottime impiegate dello stato, maestre stimate.
Inoltre, entrambe avevano la mamma a totale disposizione per cui le vacanze estive consistevano essenzialmente nel trastullare i loro figli (uno ciascuno, non si erano sprecate), mentre le gentili signore che le avevano messe al mondo provvedevano alla spesa, al pranzo e alle altre incombenze domestiche.
“Marzia, guarda tua figlia. Ricordi, a giugno non voleva entrare in acqua, invece ora prende la sua ciambellona e si butta”. “Certo, Giulia non è un tipo temerario – commentava l’amica ridendo- per cui è già tanto che abbia preso confidenza col mare. Merito di Marco. Ha molta pazienza”. “Ma lei lo segue, guardali. Sono proprio carini. E intelligenti. Li hai visti il pomeriggio quando giocano a carte? Lui le ha insegnato a giocare a cencinquantuno e a briscola, sono fortissimi. E comunque Giulia è sveglia considerando che non ha ancora sei anni”.
“La mattina si alza col pensiero di andare da Marco. E’ il suo faro, praticamente, ormai gioca anche con le macchinine e con gli indiani. E ha imparato i nomi dei ciclisti che piacciono tanto a tuo figlio. Troppo forti. Se avessero dieci anni di più, comincerei a preoccuparmi!”
“Invece sono ancora piccoli, lui si sente grande, ma ha nove anni appena!”.
“Forza, bambini, uscite dall’acqua. Dovete riposare, oggi, stasera ci sono i fuochi!”.
Marco si avvicinò correndo e subito dietro la sua amichetta trotterellava molto compresa, concentrata nel magnifico momento presente.
“I fuochi d’artificio, dai, Giulia, stasera ci divertiamo!”
Lei, come un’eco: “Ci divertiamo!”
In un attimo le mamme li avevano avvolte nei morbidi accappatoi e, poco dopo, tutti insieme si erano incamminati verso le casette gemelle dove trascorrevano quei giorni felici.

Febbraio 2017, Stazione di Grosseto

Laura scese dal treno.
Frequentare il master in criminologia a Roma era una scelta piuttosto impegnativa, anche se piacevole. Così, a fine settimana, tornava volentieri a Grosseto. Sua madre Giulia l’aspettava sulla banchina, sorridente.
“Ciao, mamma!” “Ciao, tesoro. Tutto bene?”.
“Sì, sì” disse Giulia girandosi verso il treno. “Cerchi qualcuno?”.
“Ma sì, ho fatto il viaggio con uno che dice di essere tuo amico. Però ora non lo vedo”.
“Ah sì? Beh, conosco tanta gente, non è difficile che qualcuno pensi di essere mio amico. Ma la maggior parte delle volte è solo un conoscente”.
Giulia si guardò ancora intorno.
“Ma proprio non lo vedo. Sai, era già nello scompartimento quando sono salita. Un signore magro, distinto, con gli occhiali. Aveva un loden di ottimo taglio, ma fuori moda, fai conto anni ’70. Abbiamo scambiato qualche parola e lui mi ha chiesto se ero di Grosseto, sua città di origine, da cui, però, mancava da tanto. Stava tornando perché l’anziana madre si era aggravata. Così, da un discorso all’altro, mi ha detto di aver studiato ingegneria, una persona colta, molto piacevole. A me è venuto spontaneo parlare di te che sei tutta la mia famiglia -Magari conosce mia madre- gli ho detto- dovete essere più o meno coetanei e Grosseto non è molto grande. Si chiama Giulia Cataplani, è avvocato. A quel punto, dietro ai piccoli occhiali, il suo sguardo si è illuminato. – Giulia! -ha esclamato- la dolce Giulia dagli occhi celesti! Ci conoscevamo da bambini, le nostre madri erano amiche. Poi abbiamo scelto scuole diverse, io lo scientifico, lei il classico. Diciamo che siamo diventati amici di terza fascia. Definivo così da ragazzo quelle persone che conosci da sempre, ma non frequenti, che qualche volta incontri in centro o al mare, ma ti dici appena un ciao. Il giro delle amicizie è diverso e i rapporti si diluiscono. Però, Giulia la ricordo sempre con affetto, mi sembra ancora di vederla quando aveva sei anni… E tu le somigli, hai lo stesso sguardo e lo stesso colore di capelli. Mi fa piacere averti conosciuto-
A questo punto eravamo quasi arrivati e sono uscita un attimo nel corridoio per telefonare. Quando sono tornata, non c’era più, mi è parsa una cosa strana, però… E non l’ho visto neppure dopo. Mah…”.
“Laura, scusa, ma ti sei fatta dire il nome, almeno?”.
“Sì, gliel’ho chiesto: Marco Siremi”.
Giulia impallidì. “Non è possibile”. “Certo che lo è, me lo ha detto lui. Ma ora cos’hai?”. La ragazza guardava il viso della madre, improvvisamente impallidita.
“Laura, non è possibile semplicemente perché Marco Siremi, in effetti mio amico d’infanzia, è morto a ventun anni in un incidente stradale”.
“Dai. Ma allora…” “Uno scherzo davvero di cattivo gusto, tesoro. Questo tipo è senz’altro uno che conosceva sia me che Marco e ha pensato bene di spacciarsi per lui. Che roba. Ah, ma se lo vedi, lo fermiamo e gliene dico quattro”. “Veramente, è … scomparso”. “Ora, via” Concluse Giulia stizzita.

Il giorno dopo madre e figlia si recarono in centro per alcune compere.
“Mamma, guarda – fece la ragazza, indicando un manifesto mortuario”.
Giulia si girò e lesse: “Oggi, 10 febbraio, è mancata all’affetto dei suoi cari Giovanna Niffi vedova Siremi, di anni 92. Addolorati ne danno il triste annuncio la sorella e i nipoti. Il funerale avrà luogo domani 11 febbraio alle ore 11, con partenza dall’obitorio dell’ospedale della Misericordia”.
Giulia guardava immobile la scritta. “E’ la madre di Marco”. Laura taceva, non sapeva come interpretare quella strana coincidenza.
“A questo punto andiamo al funerale, voglio vedere. Magari è un parente che si è appropriato dell’identità del cugino”.
Le due donne, senza aggiungere altro, si recarono all’obitorio.
La bara era ancora aperta e Giovanna aveva un aspetto composto e sereno.
C’era la sorella, anziana quasi quanto lei, che riconobbe Giulia e la ringraziò. C’erano i suoi figli, i cugini di Marco, ma una era una donna sui sessanta e l’altro un ometto tondo e rubizzo che certo non corrispondeva alla descrizione di Laura. C’erano pochissime altre persone. Accade così quando muore qualcuno più che novantenne la cui vita di relazione si è conclusa molti anni prima.
Giovanna era una donna forte ed aveva cercato di reagire alla tragedia che l’aveva colpita con la morte dell’unico figlio. Ma la sua vita sociale, dopo la scomparsa del marito, avvenuta dieci anni prima, si era ridotta al minimo.
La sorella, ancora molto lucida, raccontò a Giulia che, negli ultimi tempi, Giovanna era stanca, diceva di aspettare che Marco venisse a prenderla, non capiva perché tardava tanto. Poi, due giorni prima, aveva detto di averlo sognato. “Finalmente sta arrivando” aveva detto sorridendo. E il giorno dopo era morta.
Giulia e Laura ascoltavano con attenzione e rispetto. La ragazza era percorsa da un brivido, che coincidenza incredibile …
Mentre il feretro veniva caricato sul carro funebre, Giulia ebbe la sensazione di sentirsi chiamare. Si girò e davanti a lei comparve un uomo con il loden e gli occhialini, lineamenti conosciuti, un sorriso antico … Fu un attimo. Anche Laura si era girata ed aveva visto, ma un momento dopo non c’era più.
Una folata di vento scompigliò i capelli di Giulia. Le sembrò una carezza.

(foto di mia proprietà) passato2.jpg

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