Desiderare un figlio, conseguenza di abitudini sociali o frutto di un vero amore?
Desiderare un figlio
Che cosa significa dunque volere un bambino?
È la scelta oggettiva di un esaltante fatto creativo o è il frutto di condizionamenti ambientali?
Quanto è bisogno inconsapevole di continuità e quando è desiderio oggettivo di un “terzo” fra i due?
Molte sono le donne e gli uomini che si sentono realizzati nella loro condizione di umani solo in quanto generano un figlio, grazie a un rapporto tra loro che spesso, più che un vero incontro d’amore, è reciproca fruizione. Per di più, dati i condizionamenti ambientali, il desiderio d'un figlio appare fin troppo diversificato nell'uomo e nella donna, per il primo può essere esaltazione di potenza virile, per la seconda la prova di una ricettività portata alla creazione a cui è stata addestrata fin dalla nascita.
Nel figlio entrambi si sentono realizzati proprio in quanto uomo o donna. Già questo è fortemente limitante e per di più illusorio. In effetti, nessun uomo è puramente maschio e nessuna donna è esclusivamente femmina. Oggi questo appare molto chiaro e più accettabile che in passato, c'è in ciascuno di noi una molteplicità di valenze, di sensazioni di aggressività, di cedevolezze di volta in volta colorate di una sessualità o dell'altra, che ci fa paura riconoscere. Non permettiamo che emerga la componente maschile o femminile che è in noi, a causa della forte repressione sociale. Ne soffochiamo le modalità creative che rendono più sfaccettato e ricco il nostro modo di essere. Per paura le nascondiamo a noi stessi, diventiamo schematici adeguandoci al rigido e semplicistico dualismo degli opposti, di cui è permeato il nostro vivere, maschi e femmine, forti e deboli, abili e incapaci, sani e folli, e così via... Un dualismo che può indurre a credere che esista davvero una netta invalicabile differenza tra due opposti, in particolare tra mascolinità e femminilità. E quello stesso dualismo che porta a evidenziare le categorie dei “più” (i maschi, i sani, gli abili) a danno dei “meno”, pur sempre indispensabili. Non a caso Simone de Beauvoir ha parlato di “secondo sesso” alludendo ovviamente a quello femminile.
Nel rapporto sessuale questa mentalità, stantia ma tuttora valida per molti, entra da padrona. La divisione dei ruoli, la maschera che a ciascuno dei due compete, l'insufficienza del dialogo, la ricerca spesso faticosa di un superamento concreto alla limitatezza umana, sfociano tutte nel concepimento d'un figlio. Ci si illude che la sua presenza, sacralizzando la famiglia, cementi legami in fondo labili, nati più da impulsi inconsci che da scelte consapevoli dei limiti e delle qualità del partner. E l'errore si perpetua al secondo o al terzo figlio! Ancora più difficile capire che cosa significhi volere un bambino oggi, data la disumana condizione che tutti noi stiamo vivendo e che a molti toglie il desiderio di concepire e di lottare per un mondo diverso. Forse non è possibile risolvere i tanti inquieti perché dell'esistenza, ma intanto si può divenire coscienti del fatto stesso di porseli.
Il desiderio di un figlio deve essere la naturale conseguenza dell’amore di una coppia, aldilà dei pregiudizi, oltre gli stereotipi e la società.
bel post complimenti!
grazie per la lettura
Spesso, ahimè mi si suggerisce di "figliare" appena possibile per non restare sola in vecchiaia... che tristezza! Condivido il fatto che molti insabbino la propria vacuità con la prole, frutto di un mix fra istinto e perbenismo sociale che plagia le menti. Per fortuna tanti hanno invece dei figli per una scelta consapevole e piena di amore. La differenza la vedi nella tipologia di soggetti con cui poi ti toccherà confrontarti, la cui educazione è dipesa proprio dal perché sono nati.
vero!