“La parola ai giurati” di Lumet. La forza dell’argomentazione come protagonista di un imperdibile film giudiziario.

in #ita7 years ago (edited)

“Un uomo è morto, la vita di un altro è in gioco"
(dal discorso del Giudice ai giurati).

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L'immagine è tratta da wikimedia commons ed è liberamente utilizzabile.

Diretto da Sidney Lumet nel 1957, “La parola ai giurati” è un magnifico film giudiziario che inizia in un’aula di tribunale e, nel seguito, si svolge interamente in una stanza, quella nella quale si riunisce la giuria, in una atmosfera teatrale. La trama cala subito lo spettatore in un drammatico caso giudiziario, un processo per omicidio di primo grado. Un uomo è stato assassinato e l’accusato di omicidio è un ragazzo di colore, figlio dell’uomo ucciso. Una giuria composta da dodici giurati è chiamata a esprimere il verdetto. Esso deve essere pronunciato all’unanimità, pena la ripetizione del processo, e se l’esito sarà un verdetto di colpevolezza, il giovane accusato sarà condannato a morte e finirà sulla sedia elettrica.

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L'immagine è tratta da pixybay ed è liberamente utilizzabile .

La vicenda verte interamente sulI’attività dei dodici giurati che discutono il caso e, progressivamente, fanno emergere le loro differenti personalità. All’inizio il verdetto sembra di semplice soluzione, perché tutti i giurati si dichiarano a favore della colpevolezza dell’imputato. Tutti tranne uno, il giurato n. 8, interpretato dal bravissimo Henry Fonda, che si esprime a favore dell’innocenza del ragazzo a causa dei dubbi che lo pervadono. La mancanza di unanimità impone alla giuria di passare in rassegna le prove dei fatti.

Apparentemente, gli elementi di prova sembrano andare in un’unica direzione e sostenere la tesi della colpevolezza, mentre gli alibi dell’accusato sembrano inconsistenti. Vi sono elementi di prova a carico che appaiono schiaccianti. Ad esempio, l’arma del delitto: il coltello con cui è stato assassinato l'uomo è identico a quello acquistato poche ore prima dal figlio, dopo aver avuto un litigio con il padre. Ed è lo stesso negoziante che aveva venduto l’arma all’accusato ad aver compiuto il riconoscimento. Ovvero, le prove testimoniali: una donna che abitava di fronte alla casa dove è avvenuto il delitto afferma di aver assistito all'omicidio dalla finestra.
Tuttavia, il giurato n. 8 solleva dubbi e, ad una nuova votazione, vi è un altro giurato che è favorevole all’innocenza, il giurato n. 9.
La defezione impone un nuovo esame delle prove e degli elementi istruttori: i quali, mentre all’inizio sembravano tetragoni e non scalfibili, iniziano a mostrare varie falle e incongruenze. L’arma del delitto è molto diffusa, dato che rappresenta un tipo di coltello acquistabile ovunque: tant’è che il giurato n. 8 porta con sè un modello identico di quell'arma, acquistato in un negozio qualunque. Anche le modalità con le quali è stato inferto il colpo mortale (dall’alto verso il basso) sono incompatibili con l’altezza del ragazzo, molto più basso del padre. Emerge poi che la prova testimoniale è poco attendibile, in quanto la donna aveva in realtà assistito alla scena dell'omicidio "osservandola", senza occhiali, dai finestrini di un treno che passava.
Ad ogni nuova votazione, il numero dei votanti favorevoli alla colpevolezza decresce, mentre l’analisi delle prove, la loro discussione e la reiterazione delle votazioni fa progressivamente aumentare il numero dei giurati a favore dell’innocenza. Splendido il discorso del giurato n. 8 prima di una delle ultime votazioni:

“È difficile mantenere i pregiudizi personali al di fuori di queste cose, e quando questo accade il pregiudizio offusca sempre la verità. Io non so quale sia la verità, e immagino che nessuno di noi lo saprà mai. Nove di noi ora sembrano ritenere che l'accusato sia innocente. Ma stiamo solo basandoci su delle probabilità. Possiamo sbagliarci. Stiamo forse cercando di lasciar libero un colpevole, non so. Nessuno può saperlo. C'è in noi un ragionevole dubbio. E ciò è d'importanza capitale nel nostro sistema. Nessuna giuria può condannare un uomo se non è più che certa. E noi nove non comprendiamo come voi tre siate ancora così sicuri”. (Giurato n. 8).

Rimane alla fine solo il giurato n. 3 ad insistere per la colpevolezza: ma anch’egli cede, facendo capire di essere influenzato nel giudizio dall’avversione per la situazione causata dal difficile rapporto che ha avuto con il proprio figlio.
Si giunge così progressivamente, con un minuzioso lavoro di decostruzione e di ricostruzione dell’accaduto, al verdetto di innocenza dell'imputato.
Nella scena finale, i giurati 8 e 9 escono dal tribunale e si salutano scambiandosi i loro nomi.
Oltre al magnifico Hanry Fonda, il giurato n. 8, la vera protagonista del film è la forza delle tesi argomentative che si sviluppano nel dialogo tra i giurati, la quali, a poco a poco, fanno cadere una costruzione probatoria che sembrava inattaccabile.

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L'immagine è tratta da wikimedia commons ed è liberamente utilizzabile.

Il giurato n. 8 convince a uno a uno tutti i giurati colpevolisti con la sua appassionata capacita di costruire argomenti convincenti, che mettono in crisi le prime certezze, che sollevano dubbi e che fanno emergere, progressivamente, la incongruenza di una tesi di colpevolezza che sembrava scontata.
In questo senso, il film di Lumet, è un film sulla forza dell’argomentazione e sulla sua capacità di essere - talvolta – un vero strumento di giustizia.
Argomentare significa costruire “buone ragioni”, fondate su collegamenti logici validi e caratterizzate da persuasività. Ed proprio argomentando in modo appassionato che il giurato n. 8 ribalta la lettura univoca delle prove acquisite al processo, oltre che la loro fondatezza e consistenza.
Lo sviluppo degli argomenti che mettono in crisi l’apparato probatorio nel film si realizza in dialoghi serrati e molto raffinati, attraverso i quali il giurato n.8, in prevalenza, si confronta con i giurati avversari e smonta, pezzo per pezzo, le loro convinzioni circa la colpevolezza dell’imputato. Oltre ad argomenti di peso e a ragionamenti rigorosi, Henry Fonda si serve anche di tecniche persuasive che fanno breccia nella mente degli avversari.

Memorabile è la scena del coltello, che Henry Fonda porta nella stanza della giuria e pianta con violenza nel tavolo di legno, tra lo stupore di tutti gli altri giurati: un gesto argomentativo di grandissimo effetto espressivo, con il quale viene data la chiara dimostrazione della diffusione di quell’oggetto, reperibile da chiunque e quindi, non solo dall’accusato. La scena è presente in un video tratto dal film e reperibile su wikimedia commons.

Del resto, Aristotele definisce la retorica come “la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto” (1- I, 2, 1355b).

E’ il rigore del ragionamento che percorre le tesi argomentative del giurato n. 8, oltre alla qualità dei ragionamenti stessi, a imprimere forza alla sua capacità persuasiva. Il ragionamento corretto a poco a poco prevale sulle convinzioni errate dei giurati colpevolisti, che vedono entrare in crisi le loro certezze. Accade esattamente quello che un antico retore greco, Protagora, vissuto tra il 486 e il 411 a.C., ha indicato come una regola retorica fondamentale:

“Trasformare l'argomentazione più debole nella più forte”

E’ anche un confronto di personalità, il duello dialettico proposto dal film: alla passione per la verità e per la giustizia, nonché alla rigorosa volontà di ricostruzione veritiera dei fatti che connotano il personaggio interpretato da Hanry Fond, si contrappongono personalità più deboli, a volte influenzate da pregiudizi, a volte timorose, a volte solo succubi e incapaci di contrapporsi a quella cha appariva l’unica soluzione plausibile, e che tale non era.
Argomentare rispecchia la forza del ragionamento e, quindi, l’intelligenza e la forza della personalità di un soggetto. E diventa strumento di verità e giustizia, quando permette di far emergere il dubbio.

“Il dubbio è una passerella che trema
tra l'errore e la verità”
. (Gesualdo Bufalino)

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Non credo servano altre parole per dimostrare che “La parola ai giurati” è un film imperdibile. Se non l'avete ancora visto, rimediate.

Bibliografia

  1. Aristotele, "Retorica, introduzione di Franco Montanari", traduzioni e note a cura di Marco Dorati, Bruno Mondadori, Milano 1996
  2. Atienza, "Diritto come argomentazione", trad. it., 2012, Editoriale scientifica.
  3. "La parola ai giurati", voce Wikipedia, Wikipedia
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Bel film, bello che tu ne abbia voluto parlare.

davvero bello, grazie

... e mettiamo anche questo nella lista. 😀

un film bellissimo. Grazie per questa bella recensione

Grazie a te!

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