La linea grigia dove danzano verità e menzogna nella narrazione. Borges e la “Storia universale dell’infamia”.

in #ita7 years ago (edited)

“Leggevo la vita di un personaggio conosciuto
e la deformavo e falsificavo deliberatamente
secondo la mia fantasia”
(J. L. Borges).

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Lo scrittore argentino J.L. Borges

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C’è una linea grigia in ogni narrazione che descrive un evento, una persona, un insieme di circostanze. Quella linea grigia, che si colloca sul bordo di una storia, è il luogo dove si gioca la verità del racconto, è l’ambito misterioso dove possono danzare ambiguamente la verità e la falsità di quello che si descrive, ed è luogo dove lo scrittore diviene "dominus assoluto" della verità e della falsità.

Borges dimostra tutto questo magistralmente, con un breve libro splendido, frutto di una intuizione geniale.
Nella sua “Storia universale dell’infamia" lo scrittore argentino descrive in chiave mitica una serie di personaggi reali, ricostruisce le loro misteriose biografie. Così egli narra di Lazarus Morell, di Tom Castro, della Vedova Ching, di Monk Eastaman e di altri. Tuttavia, le esistenze di questi personaggi, sulle quali l’autore induce il lettore al giudizio, sono tratteggiate in modo ambiguo e mutevole, perché quello che lo scrittore racconta è sui confini sia del vero che del falso. Il racconto parte in un modo, dando una versione del soggetto descritto e, successivamente, l’aggiunta di particolari nuovi e di nuove sfumature, cambia la versione, attribuendo un nuovo senso alla storia. Le biografie si snodano in un gioco di specchi che si riflettono gli uni contro gli altri, come in una sorta di labirinto che scivola nei particolari della narrazione fornendoci versioni cangianti, ambigue e mutanti di qualcosa che è vero, nella realtà, che diviene ambiguo, vero e falso, al contempo, nella narrazione. Colui che appare come un eroe può divenire un infame, in un intreccio di binari narrativi che si incrociano e si sovrappongono.
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La prima storia del libro è di Lazarus Morell, definito emblematicamente come lo “spaventoso redentore”: poiché “nel 1517 padre Bartolomé de Las Casas provò grande compassione per gli indiani che si sfinivano nelle miniere d’oro delle Antille e propose all’imperatore Carlo V l’importazione di negri” da utilizzare come schiavi, Morell appare come un emancipatore dalla schiavitù, in quanto lui e i suoi aiutano i neri a fuggire. In realtà, il racconto muta e Lazarus Morell appare come un pericoloso malfattore che capeggia una ciurma di criminali che mette in fuga gli schiavi dalle piantagioni di cotone al fine di rivenderli a nuovi proprietari. “Malgrado l’infanzia miserabile e la vita ignominiosa, Morell era un vecchio yankee del Sud. Sperava di potersi ritirare dagli affari e vivere come un gentiluomo e avere i suoi acri di campi di cotone e le sue curve file di schiavi”. Nella storia c’è tutto, c’è la verità e c’è la falsità di ciò che appare. Vi è la verità, vi è la falsità, vi è la lode, vi è l'infamia. E così molte altre storie.

L’intuizione geniale di Borges, che gioca sul filo del rasoio della costruzione della narrazione, è quella che permette di capire alcuni concetti fondamentali, importanti anche in chiave narrativa, letteraria ma anche epistemologica.

In primo luogo, la verità è qualcosa che sta fuori dalla storia narrata, la quale può essere corrispondente o meno a verità. Borges ovviamente non lo dice, ma sullo sfondo del suo discorso vi è un’idea di verità come corrispondenza tra il linguaggio e le circostanze del mondo reale, idea che ha elaborato Alfred Tarski. Cambia la descrizione, cambiano i racconti, ma l’oggetto del racconto rimane il medesimo: e la verità di quell’oggetto sta fuori dal contesto del racconto. Aggiungere particolari a un racconto, significa cambiare il suo rapporto con la verità o con la falsità di quanto è avvenuto. Eppure la storia appare diversa, muta, è cangiante, si snoda sui confini del vero e del falso. Ogni storia, quindi, può essere verità, ma può essere anche infamia.
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Tuttavia, e qui arriviamo al secondo punto, nessuna narrazione descrittiva è vergine, perché si pone in un determinato rapporto con l’oggetto che descrive. Verità, finzione e falsità. Una descrizione narrata può essere corrispondente al vero o è necessariamente una finzione? Chiediamo a dieci persone di descrivere un evento, una persona, un insieme di circostanze. Qual è la descrizione fra le molte che corrisponde a verità? Accade che i “fatti” che riguardano la vita dei personaggi descritti non entrino automaticamente e semplicemente nel racconto. Quello che ci insegna Borges è che qualunque circostanza di fatto, anche la più semplice a apparentemente insignificante, può essere descritta con infinite narrazioni vere, ed anche con infinite narrazioni false.

In altri termini, quando si descrive un evento, esistono molte storie false e molte storie vere. Perché ogni narrazione è una versione della realtà che pretende di descrivere. Vi saranno, dunque, versioni false di un evento, ma la versione “vera” non è mai una sola, perché raccontare una realtà, una vita, un evento è qualcosa di estremamente complesso, che può essere fatto in un numero infinito di modi. Così le versioni vere saranno molte, l’una differente dall’altra.
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Un ultima intuizione che la complessa e affascinante storia dell'infamia di Borges ci trasmette. La polisemia, l’ambiguità della narrazione rispecchiano, in via mediata, la complessità del destino che incontra una esistenza, il destino che ha segnato le vite che lo stesso Borges racconta:

"Destino: tale è il nome che diamo
all'opera infinita e incessante
di migliaia di cause intrecciate" (J. L. Borges).

Bibliografia

  1. Borges, “Storia universale dell’infamia”, trad. it., Milano, 1984, p. 438 ss.
  2. D’Agostini, “Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico”, Bollati Boringhieri, 2010.
  3. Taruffo, “La semplice verità”, Roma-Bari, 2009.
  4. Dimitri, “Sulla verità e sulla menzogna. Storia universale dell’infamia di Jorge Luis Borges”.
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E nulla che dire? Mi hai fatto venire voglia di leggere Borges e pure Tarski.

Post davvero molto interessante, complimenti.

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