Le sedie piccole di Sardegna

in Discovery-it5 years ago (edited)

Ciao cari amici di Steemit, come va?
Spero tutto bene.
In questo periodo così strano delle nostre vite mi va di dedicare questi miei ultimi post a noi italiani. Non me ne vogliano gli amici che parlano altre lingue, ma ho il desiderio di avvicinarmi almeno virtualmente ai miei compaesani, perchè credo che supportarci a vicenda sia la cosa più bella che possiamo fare.

Ho recentemente scritto un breve racconto per un concorso di narrativa sul tema:

Le infinite storie racchiuse in un oggetto.

E ho pensato che sarebbe stato bello condividerlo con voi.
Alcuni oggetti infatti, assumono per qualche motivo una certa sacralità. Forse perché sono ricchi di ricordi, storia e cultura. Spesso anche oggetti molto comuni emanano una luce suggestiva, e a volte misteriosa. Ho pensato di raccontare un oggetto della mia terra. Un oggetto alla quale sono molto legata, che nella mia vita si è spesso intrecciato alla musica, che in questi giorni ci sta aiutando come sempre.


Sa carìra

Il legno dipinto di scuro è intagliato a mano, con decorazioni geometriche, floreali e animali simbolici della Sardegna; sono quasi sempre dipinte con colori accesi e quasi sempre c’è una pavoncella.
Per l’impagliatura si segue la tradizione dell’intreccio a mano; che risalta per il suo colore più chiaro rispetto al legno.
Solitamente ognuno ha la sua sedia personale e usa sempre e solo quella, andando a cercarla per tutta la casa quando non si trova al suo posto: “Peppina! Aùndi è sa carìra?!”*
*Peppina! Dov’è la sedia?
Possono sembrare molto piccole a chi non c’è abituato, ma hanno misure diverse a seconda del proprietario. Sono, infatti, piccole per gli adulti e piccolissime per i bambini.
Si sta seduti vicino alla terra quando ci si siede su queste sedie, ci si sente piccoli, sì, ma si è comunque seduti come dei Signori.
“Dai Francesca, vieni qui a cantare!”
Andavamo a sederci in cortile, davanti alla porta di casa loro. Ogni sera ero la loro ospite d’onore, un piccolo scricciolo di tre anni.
Mi trattavano come se fossi la loro nipotina, mi regalavano le merendine e i biscotti, pacchi interi che compravano appositamente per me, e mi facevano cantare tutto il tempo.
Per me, che non ho avuto la fortuna di conoscere i miei nonni, lo sono stati loro.
Li chiamavo signor Peppino e signora Peppina e abitavano proprio davanti casa mia. Condividevamo tutti lo stesso cortile perciò potevo andare a trovarli ogni volta che volevo.
A rivederla adesso quella casa fa uno strano effetto, vivevamo proprio in una catapecchia, ma quando ero bambina era il mio piccolo mondo, e non l’avrei cambiato con nient’altro.
Signor Peppino e signora Peppina vivevano in una casetta minuscola di tre stanze, la ricordo un po’ disordinata perchè avevano davvero poco spazio, ma loro passavano lì tanto tempo, insieme, dentro casa. Credo che amassero davvero tanto passare il tempo insieme per non annoiarsi mai in tutti quegli anni.
Mia mamma mi racconta sempre che quando siamo arrivati in quella casa la famiglia a fianco ci aveva avvertiti dicendo: “Non date troppa confidenza a quella coppia di anziani che abita davanti a voi perchè non gli piacciono i bambini. Infatti sono senza figli perchè i bambini li infastidiscono proprio.”
Ma mia mamma non ha mai ascoltato gli avvertimenti di nessuno in vita sua, non ha mai creduto alle voci di paese o alle idee degli altri. Ha sempre preferito farsi un’idea sua e conoscere le persone prima di giungere a conclusioni.
Così iniziò a bussare alla loro porta, scambiare quattro chiacchiere e, conoscendo mia madre, immagino abbia portato qualche fetta di torta appena sfornata e qualche piatto prelibato della domenica.
Io ero una bambina molto buffa, un po’ timida e molto buona, non facevo altro che ridere quindi credo di averli conquistati con la mia risata contagiosa.
Sta di fatto che tutto il vicinato dovette ricredersi sulla coppia di anziani.
Mi ricordo molto bene di quando ci mettevamo fuori a cantare.
Mettevano le loro due sedie in cortile, una a fianco all’altra, e una piccolissima per me, a fianco a loro.
Mi chiamavano e io correvo a sedermi.
Solitamente uno di loro attaccava con una canzone e gli altri due seguivano.
Io ovviamente non avevo idea di cosa cantassero e improvvisavo seguendoli a orecchio; e loro ridevano, li facevo ridere tantissimo, quasi piangevano dalle risate a volte, e io pure perchè mi divertivo ad improvvisare e inventare parole che non esistono.
Quando era signora Peppina a proporre una canzone, si trattava sempre di qualcosa di melodioso e delicato, e avevo l’impressione che cantasse in una lingua straniera.
Bai e cicca! - Si dice in sardo, quando non si sa qualcosa. Però io ricordo così.
La lingua in cui cantava lei mi suonava come suonano le lingue dell’est, ma pensandoci adesso poteva anche essere nuorese per quanto ne so.
Mi ricordo di averlo chiesto a mia mamma una volta, perchè la cosa un po’ mi faceva sentire spaesata: “Mamma. signora Peppina, quando canta, canta in una lingua strana. Non conosco nessuna parola.” Le dissi con molta serietà e in cerca di spiegazioni.
E ricordo che mia mamma mi disse: “Ma sei sicura? Non ne ho idea, io non ci ho mai fatto caso” e chiese subito un parere a mio padre che stava lì dietro.
Credo che avessero cominciato a tirare a indovinare e avessero ipotizzato che signora Peppina in realtà non fosse sarda ma probabilmente rumena.
Mia mamma non si ricorda di questo dettaglio, secondo me nemmeno ci ha mai fatto caso comunque, e ad ogni modo ha una pessima memoria quindi non posso contare su di lei.
Sta di fatto che quando signora Peppina cantava una delle sue canzoni che suonavano come l’est, si trattava di un momento magico, e restavamo tutti un po’ incantati e in silenzio, senza ridere più, e senza inventare parole buffe, l’accompagnavo solo ogni tanto con qualche “uuuuuu” di sottofondo per seguire la sua dolce melodia.
Tante melodie hanno attraversato quelle sedie, tante risate e chiacchierate all’ombra.
Queste sedie sono state inventate per portarci tutti insieme, per condividere le cose più belle che la vita ci può dare come esseri umani, animali sociali che, pur staccandosi dalla natura non smettono di tornarci e di farne parte.
È una filosofia di vita questa sedia. Insegna quanto siamo piccoli rispetto alla grandezza del mondo che ci accoglie, ponendoci in una posizione di grande rispetto per la madre terra.
E questo essere riconoscenti e umili è esattamente quel che ci rende allo stesso tempo Signori, eleganti e fieri di essere delle persone stimabili e buone con gli altri.

IMG-1106.jpg

Grazie per aver letto questo piccolo oggetto della mia cultura. Spero che il racconto vi abbia tenuto compagnia e vi mando un abbraccio virtuale.

PS: chiedo scusa per questo esperimento con gli acquerelli, sto facendo un po' di pratica ma sono molto inesperta! ahah :)


E voi? Avete un oggetto della vostra cultura? Magari un oggetto del passato che vi scatena mille emozioni ogni volta che lo vedete? Mi piacerebbe moltissimo conoscere altri oggetti "umili" che contengono una grande/piccola storia


Ogni disegno presente in questa pagina è mio e personale
All the drawings in this page are mine and personal

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