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in Italy4 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°130 S5-P6-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @sbarandelli

Tema: Invidia
Ambientazione: Cascate di fiume


Paolo Carnassale, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons

Madre

Al centro di una verde radura, lungo le sponde del fiume, una donna vestita di bianco se ne stava seduta quietamente ai piedi della cascata, sotto i raggi della luna piena già alta nel cielo.

Osservava assorta quel punto in cui le acque, dopo essere precipitate per alcune decine di metri, si schiantavano al suolo scrosciando sulle rocce in una fitta nebbiolina, per poi riunirsi al letto del fiume e proseguire il proprio corso. Un gatto selvatico, raggomitolato sull’erba accanto a lei, faceva le fusa sotto il tocco morbido delle carezze di quella donna, fremendo al passaggio delle dita sul mantello folto.

<<Quanta pace in questo luogo, non trovi gatto?>>

<< Mprrrrmmm>> le rispose intensificando le fusa.

<<Com’è bella la cascata, così pura, così fresca. Sembra un bimbo che si tuffa fra le braccia della madre quando torna da lavoro. Sembra quasi di sentirne le sue risa d’allegria in mezzo a tutto quel fragore.>>

Fece una breve pausa, in ascolto.

<<E tu ne hai bambini, signor gatto? Si, insomma, cuccioli. Scommetto di sì, di sicuro ne hai molti, sparsi per la foresta. Com’è essere genitore, signor gatto?>>
Il gatto sollevò la testa un istante, affondando gli occhi gialli e intensi in quelli liquidi della signora dai lunghi capelli neri, poi tornò ad acciambellarsi placido.

<<Oh, dunque è così, sei una gatta. Scommetto che i tuoi cuccioli sono già grandi e stanno cercando la propria strada. E’ la vita, è fatta così: tu li cresci, dai loro tutto ciò di cui disponi, e appena possono loro spiccano il volo e vanno via.>>

Socchiuse gli occhi, poi sollevò la testa al cielo, ammirando la tenue luce della luna e seguendo con lo sguardo il suo riflesso sulla superficie limpida del fiume.

<<Però sono certa che non rimpiangerai mai di averli messi al mondo, non è vero? Li hai tenuti dentro di te, al caldo e al riparo, ti sei nutrita con fatica per poter nutrire loro. Poi li hai messi al mondo, cercando il luogo più nascosto e più sicuro dove amarli. Li hai leccati, li hai scaldati, li hai allattati. Hai visto i loro occhi aprirsi e udito i loro acuti miagolii. Hai portato loro prede finché non hai potuto fare in modo che se le procurassero da soli, e infine li hai lasciati andare, più e più volte, soffrendone ogni volta ma ogni volta ricominciando da capo.>>

Nella notte fresca, un falco le sfiorò la manica, sollevando col suo volo fili di capelli; infine le affondò gli artigli sulla spalla, lacerandole le vesti bianche e leggere.

<<Sei a caccia, piccolo falco? Troverai presto carne per nutrire i tuoi piccoli. Ma adesso fermati, aspetta: attendi un po’ con me in questa strana notte. Eccoti arrivare, proprio mentre parlavamo di lasciare il nido. Cosa vedi quando voli così in alto? Cosa provi quando uccidi le tue prede? Hai rimorso? Hai dolore? Sono certa che se anche fossi in grado di provarne, il bisogno di nutrire il nido tuo ti si imporrebbe. I tuoi piccoli strepitano, mucchietti di pelle e ossa senza piume ancora sporchi dei gusci che hanno rotto. Strepitano, e tu voli, giorno e notte, perché crescano presto, perché le piume li ricoprano copiose, perché presto caccino da sé piccioni e lepri.>>

Sentì un fruscio fra l’erba e le sue vesti: un granchio di fiume le si avvicinava minaccioso, brandendo le sue chele per portarsi via qualcosa. Anche una piccola salamandrina, nascosta nel fogliame caduto in mezzo all’erba, le si avvicinava furtiva, sperando di strappare qualcosa anche per sé.

<<E’ così, dunque: è ora. Capisco. Però prima che vi avviciniate ancora, tutti voi, ascoltate la mia storia. Nacqui sola e sola crebbi, abbandonata alla ruota da una madre snaturata. Per tutta la mia infanzia chiamai “madre” la badessa, ma in cuor mio non attendevo che una donna che mi amasse. Venivano in tanti e se ne andavano, ciascuno trovava il proprio bimbo: più piccolo o più grande, più bello o più brutto, più sveglio o più tranquillo, non importa: era sempre un tanto in più di quanto io non fossi.>>

<<Li guardavo sempre incredula andar via ancora una volta ma non portandosi via me: odiavo quei bambini, che fino al giorno prima chiamavo fratellini; nell’invidia della loro buona sorte odiai mille e mille volte il mio destino, finché smisi di invidiare o di sperare in una madre e mi accinsi a diventarne una. Sposai un uomo a cui la suora mi indicò. Niente amore né poesia nei nostri cuori: solo quiete e focolare in un reciproco vantaggio. Però il tempo trascorreva ed un mese dopo l’altro il bambino non veniva. Ogni notte lui tentava, e provava e riprovava: qualche volta mi sembrava che su di me la sua rabbia si sfogava. I vicini attorno a noi sfornavano i bambini come fossero pasticcini. Invidiavo quelle madri, da cui i piccoli correvano, e le odiavo ad ogni istante perché mi ricordavano un evento tanto atteso che a me era precluso. Me ne andai da un dottore a rovistare nel mio affare. “Difettosa” fu il verdetto, e la condanna al tempo stesso. Camminavo per la strada, uno spirito dannato: che Dio era questo mostro che di ogni cosa mi aveva privato?! Né una madre mi ha mai dato e la gioia di un figlio mi ha strappato. Camminavo senza meta: ero già morta, ma ancora in vita. Così a lungo ho camminato finché il fiume mi ha trovato: il mio corpo senza vita giace ai piedi di quella cascata. Ciascuno di voi se ne sazierà e di esso i suoi piccoli nutrirà. Gatto, falco granchio e persino tu, salamandrina: ogni essere è all’altezza di chiamarsi genitore, ma non io. A voi va la mia invidia, lasciate a me la vostra compassione.>>

Lo spirito della povera donna si interruppe, riascoltando l’eco delle sue stesse parole.

<<Che strano modo di parlare mi è venuto. Sembra una dolce cantilena che mi porta via lontano. Nulla più mi lega ormai a questo luogo strano. Il rancore si dilegua, fra le acque fragorose: nella chiara nebbiolina torno a ridere bambina. Mi dissolvo: vita, addio! Mai una madre ebbi, né mai madre sarò io.>>

Evanescente, lo spirito dalle candide vesti si disperse lieve fra il fiume e la cascata, accolta e purificata dalle acque il cui suono somigliava alle risa dei bambini che quella donna, in vita, non aveva mai avuto.

Separatore 10.jpg

Informazioni sugli animali di fiume e cascata sul nostro territorio prese da qui: http://www.cascatedelverde.it/cascatedelverde/it/la-fauna-della-riserva.html

La "ruota" di cui la donna parla è la Ruota degli espositi, che ho scoperto essere tornata in auge in tempi recenti anche in Italia per l'abbandono di neonati "in sicurezza".

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girolamomarotta
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