La piccola dea dei dragonisteemCreated with Sketch.

in Italy3 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°132 S2-P7-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @clifth
Tema: Libellule
Ambientazione: Campagna

Libellula.jpg
CC0 Creative Commons

La piccola dea dei dragoni

Aveva i capelli rossi come foglie d’autunno, ondulati e vaporosi, e il viso dolce e chiaro costellato di lentiggini.
Aveva gli occhi verdi come tenere foglioline di primavera piene di speranze e di promesse e una risata cristallina le increspava labbra chiare e sottili.

Era venuta con gli amici in campeggio e con loro trascorreva spensierata quella calda domenica di maggio nella campagna odorosa e fiorita, affaccendandosi ai fornelli da campo o intonando insieme agli altri una canzone prima di esplorare il bosco o sdraiarsi sotto i pini.
La osservai a lungo mentre camminava o parlava, mentre si vestiva o dormiva. La osservai a lungo mentre si lavava, in fretta e poco al riparo dai guardoni. La osservai a lungo mentre si appartava lì vicino con uno degli amici con cui era venuta. La osservai a lungo, e per poco non mi vide quando andò da sola a fare i suoi bisogni: mi ero avvicinato troppo per sentire il suo profumo di bosco e di vento.

Carmen era il suo nome, e correva veloce sul prato usando il giubbotto come delle ali. Aveva un fermaglio a forma di libellula fra i capelli, e un piccolo ciondolo d’oro della stessa forma appeso a un filo nero attorno al lungo collo tornito, di cui esaltava le fattezze pallide e perfette. Anche il giubbotto di pelle era ricamato con una grande e colorata libellula sulla schiena, che sembrava sbattere le ali al ritmo di Carmen che giocava, di Carmen che danzava, di Carmen che si chinava per raccogliere mille fiori di campo e farne mazzolini con le amiche.

Quanta, quanta energia in quel corpicino giovane e fresco! Nella calura continuavano tutti a giocare a palla, spogliandosi piano degli indumenti superflui e spruzzandosi addosso acqua fresca. Rubai quel giubbotto annusandone ancora l’odore selvaggio e per poco non persi la testa: mia, mia! Doveva essere mia! O ne sarei morto di certo.

Fu all’alba che tesi la mia rete, e la dolce libellula vi cadde.
La portai lontano, lontano per i campi, fino al casolare abbandonato e lì mi ubriacai di quell’odore e mi impossessai di tutto il resto e fui felice col mio minuto e recalcitrante insettino.

Non mi ero accorto che mentre la portavo via svenuta un piccolo fermaglio era caduto sul sentiero. Non mi ero accorto che poi si era ripresa e capendo il suo destino aveva attivato l’allarme silente dal telefono. Credevo che lo avesse lasciato nella tenda e non addosso, a quell’ora del mattino. Felice della mia conquista, inebriato dalla sua bellezza, mi distrassi ed ebbi fretta di mangiare la mia torta deliziosa.

Fui felice appena per un istante, lo ero ancora mentre mi piombavano alle spalle in otto, forse più, strappandomi via da sotto il ventre la libellula singhiozzante: forse accarezzandole le ali sottili gliele avevo un po’ sgualcite.

Mentre ancora nudo mi trascinavano in manette fuori dal casolare abbandonato che credevo il mio rifugio, vidi uno sciame di insetti avvicinarsi veloce dallo stagno lì vicino ed avventarsi sul mio corpo. Erano migliaia di piccole libellule che venivano a vendicare la loro dea divorando quelle parti che più l’avevano offesa con le loro piccole bocche taglienti. Gridavo e le scacciavo e lo stesso facevano i militari, ma quelle non si fermarono finché fra le mie gambe non rimase che un moncherino sanguinante e nelle mie orbite due orribili cavità cieche. L’ultima cosa che ho visto prima che i miei occhi venissero divorati dai feroci piccoli insetti fu l’odio di quegli adorati occhi verde foglia, al centro di quel viso bianco e fiero, i capelli scarmigliati dalla brama delle mie mani e la bocca ancora stropicciata. Qualcuno le aveva messo addosso il suo giubbotto nero e le prestava aiuto, ma lei non vi badava e su di me concentrava ogni molecola dell’attenzione di quegli occhi ardenti, mentre mi puntava addosso un dito accusatorio che decretava già la mia condanna.

Ne fui deliziato e fra le pene lo capii: è così, ne sono certo, sì, di certo era lei, proprio lei che per appena un istante era stata mia, lei era la piccola dea dei dragoni, la signora dei piccoli dragoni del vento, e i dragoni da allora mi assalgono feroci ovunque io sia.

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girolamomarotta
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