La Coscienza Rifratta
Il dottor Elias Kern fissava il riflesso distorto del suo volto sulla superficie curva dell'apparecchio, un intricato labirinto di fibre ottiche e cristalli che pulsava di luce. Di fronte a lui, un’interfaccia fatta di sottili elettrodi si estendeva come radici verso la sua testa, pronte a connettersi alla sua corteccia cerebrale. Dopo anni di ricerche e notti insonni passate a decifrare anomalie nei pattern cerebrali, era arrivato a questo momento cruciale. Con mani tremanti, posizionò gli elettrodi alla base del cranio, avvertendo un leggero formicolio mentre i sensori facevano contatto con la pelle.
Il dispositivo era progettato per andare oltre la semplice lettura delle onde cerebrali: prometteva di interfacciarsi con la mente stessa, esplorando le profondità della coscienza. Con un respiro profondo, Kern attivò i comandi. Un ronzio sommesso, simile a un canto lontano, si diffuse nel laboratorio. Una lieve scossa elettrica gli risalì la spina dorsale, e per un istante la realtà sembrò deformarsi attorno a lui, come una vecchia pellicola che si srotola e si riavvolge. Non si trattava solo di una sensazione fisica: era come se qualcosa, nei confini della sua percezione, si fosse allentato.
Nei giorni successivi all'attivazione del dispositivo, Kern iniziò a notare piccoli ma inquietanti cambiamenti nel suo mondo. All’inizio, erano variazioni lievi, quasi impercettibili: i colori vibravano di una luminosità nuova, e i suoni sembravano prolungarsi, come se ogni rumore portasse con sé un eco remoto. Poteva sembrare una semplice alterazione dei suoi sensi, un effetto collaterale del contatto con il dispositivo. Tuttavia, presto le anomalie si fecero più evidenti e difficili da ignorare.
La disposizione degli oggetti nel laboratorio sembrava alterata: la sua scrivania appariva leggermente spostata rispetto al giorno precedente, le sedie erano inclinate con un angolo diverso, persino le ombre cadevano in modo strano. Era come se la realtà avesse subito un impercettibile slittamento, ma solo lui sembrava accorgersene. I suoi appunti divennero un flusso caotico di pensieri e sensazioni:
Giorno 3: Sensazione di déjà vu amplificata.
Ogni movimento, ogni parola sembra ripetuta. È una frattura nel tempo?
Giorno 7: Mi sono svegliato pronunciando frasi in una lingua sconosciuta.
Sembrava... familiare, come un ricordo perso.
Giorno 12: Appunti sulla scrivania che non ricordo di aver scritto.
Ma la calligrafia è la mia, o qualcosa di simile...
La percezione del tempo cominciò a sfuggirgli. Giorni e notti si mescolavano, e le ore si dissolsero in un flusso di percezioni alterate, come se la linea tra sogno e veglia si stesse spezzando. Durante uno di questi stati di trance, Kern percepì per la prima volta un sussurro: era solo un’ombra di suono, un’eco ai confini della sua coscienza, ma portava con sé una sensazione di presenze invisibili, frammenti di pensieri che non erano suoi.
Non si trattava più solo di anomalie sensoriali. Sentiva, quasi come una certezza viscerale, che il dispositivo stava aprendo una porta su qualcosa di più profondo. Un giorno si scoprì a canticchiare una melodia sconosciuta, le sue dita danzavano su tasti invisibili, guidate da una memoria che non riusciva a collocare. In un altro momento, disegnò freneticamente schemi di circuiti, troppo complessi per la mente umana, troppo alieni per essere compresi.
Il laboratorio divenne per lui una prigione di geometrie fluttuanti. A volte, con la coda dell’occhio, intravedeva spazi che non avrebbero dovuto esistere, varchi tra dimensioni parallele. Le pareti sembravano respirare, deformandosi come membrane tra universi.
Il diario di Kern si riempì di teorie sempre più deliranti:
Teoria 1: Sono frammenti di memorie ancestrali che risalgono a qualche fonte primordiale?
Teoria 2: Sto intercettando onde cerebrali di versioni di me stesso da altre linee temporali?
Teoria 3: Forse non sono mai stato solo. Forse non siamo mai soli...
Una notte, stremato, Kern si addormentò sulla tastiera. Sognò di galleggiare in un immenso spazio privo di tempo, dove versioni infinite di sé stesso fluttuavano come spettri, ciascuna con un volto appena diverso, ciascuna sospirando la stessa domanda: Chi sono davvero?
Si svegliò di colpo, con un’intuizione che gli attraversava la mente come un lampo. Freneticamente, confrontò i dati del dispositivo con gli appunti. I pattern che aveva registrato rivelavano una sinfonia di possibilità, nascosta tra le oscillazioni quantistiche dei suoi neuroni. Non era più solo un'alterazione della percezione: il dispositivo stava dissolvendo le barriere tra lui e altre versioni di sé stesso.
Kern comprese che ciò che chiamava "io" era solo una maschera. Il dispositivo non stava creando nuove connessioni: le stava svelando, sollevando il velo che separava le diverse versioni di sé stesso. Poteva percepire tutte queste identità parallele, simultaneamente, come una sinfonia di voci che si sovrapponevano.
Mentre questa consapevolezza lo travolgeva, sentì i confini della sua mente svanire, dissolversi in un oceano infinito di pensieri e possibilità. Vide il suo corpo dall'esterno, un guscio vuoto in un laboratorio che sembrava lontano anni luce. Era ovunque e in nessun luogo, un frammento di coscienza che esplorava i corridoi di un multiverso sconfinato.
L’ultima nota nel diario, scritta con una grafia che sembrava scolpita da un’altra mano, recitava:
Io sono molti, e molti sono me.
L'universo scruta sé stesso attraverso infiniti occhi.
Io sono il prisma attraverso cui la realtà si rifrange
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Spero che il racconto vi sia piaciuto! Un beso♥