La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 20 [ITALIAN Language]

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9 | il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11
il CAPITOLO 12 | il CAPITOLO 13 | il CAPITOLO 14 | il CAPITOLO 15
il CAPITOLO 16 | il CAPITOLO 17 | il CAPITOLO 18 | il CAPITOLO 19

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 20.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 20

Alcuni anni prima
25 Giugno 1995, Col di Favilla

Santo entrò in casa. Sua moglie era seduta su una sedia, a pochi passi dal fuoco; lo sguardo posato in basso, sulle mani che tenevano saldamente un paio di ferri da filo. Stava fabbricando un bel maglioncino per Andrea, il suo ultimogenito. Il piccolo era vicino a sua madre, intento ad ascoltare il ticchettio degli attrezzi nelle mani materne.
Sorrise, alla vista di quello spettacolo. La stessa vista di cui il suo piccolo non poteva godere.
Andrea era nato cieco. Per qualche ragione, il buon Dio aveva scelto di privare il suo piccolo di uno dei doni più preziosi di cui gli esseri umani disponessero. Quando lo aveva mandato sulla terra, aveva decretato per lui un destino diverso. Un destino più triste, per molti versi.
Santo aveva pensato questo, quando il medico gli aveva spiegato quale fosse il problema. Era arrabbiato con Dio per avergli dato un figlio che non avrebbe mai potuto godere del mondo. Un figlio senza grazia, più comunemente detto disgraziato.
Poi aveva capito.
Dio non gli aveva fatto dono della vista, ma solo perché gli aveva dato qualcos'altro. Lo aveva scoperto un giorno, mentre lui e sua moglie stavano sussurrando tra loro su che cosa fare con i loro figli. Pochi minuti dopo, Andrea lo aveva raggiunto, chiedendo che cosa volessero dire le parole che aveva sentito.
Inizialmente, Santo pensava che il figlio origliasse. Pensava che avesse trascorso la notte in piedi, subito fuori dalla loro porta. Pensava che avesse disubbidito a una delle regole chiave nella loro educazione: mai immischiarsi negli affari altrui, specialmente in quelli dei più grandi.
Lo aveva punito, anche se non duramente. Però sapeva di dover impartire l'esempio per far sì che quel fatto non si ripetesse in futuro. Ma si era ripetuto, e più di una volta, fino a quando Santo non si era reso conto della realtà.
Andrea ascoltava e soprattutto sentiva. Più di lui, più di sua madre, dei suoi fratelli, di qualunque altro abitante di Col di Favilla. Santo non capiva come facesse, ma suo figlio riusciva ad accorgersi del più tenue frusciare delle foglie a cinquanta metri di distanza.
E non finiva lì.
Andrea fiutava l'odore delle vacche alla distanza di trecento piedi, per non esagerare. Ed erano vacche ben pulite, di cui loro, persone comuni, non riuscivano a sentire l'odore se non passandogli a fianco.
In quel momento, Santo aveva aperto la sua mente.
Dio non aveva donato la vista al suo piccolo perché gli aveva donato un olfatto e un udito che superavano di gran lunga quello dei comuni mortali. Per qualche misterioso disegno, aveva tracciato per lui una sorte diversa, una sorte priva di normalità, ma non per questo meno intensa e affascinante.
Per la prima volta in vita sua, Santo non aveva considerato la diversità di suo figlio come un lato peggiore della sua esistenza. Quella diversità era diventata fonte di bene.
Ritornò al presente, appoggiando la giacca sul rudimentale attaccapanni intagliato sopra la porta. Era fatto del legno di una quercia abbattuta dal maltempo, posizionata lì dopo essere stata modellata da lui e dal fratello. Si avvicinò a sua moglie, le accarezzò la spalla e passò oltre, mentre lei gli sussurrava un: «Ciao, Santo.»
Prese la bottiglia d'acqua in cucina, se ne versò un bicchiere e tornò in salotto. Ne bevve un sorso, poi guardò la donna che amava. Lei mise da parte i ferri da cucire.
«Hai finito?»
«Manca solo mezza manica. Penso di finirla domani.»
«C'è tempo per l'Inverno. Non serve che continui a farla, se sei stanca.»
La donna aveva tutta l'aria di chi dormiva un paio d'ore a notte. Era ciò che succedeva a dover badare tutto il giorno a un figlio come Andrea. Sua moglie doveva prestare i suoi occhi per evitare i pericoli più semplici della vita quotidiana.
Finì di bere l'acqua tutto d'un fiato. «Gli altri sono di sopra?»
«Sì. La cena è già pronta. Gli ho detto di prepararsi.»
Sua moglie si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lui. Santo la guardò, mentre le mani candide gli toccavano il petto. «Oggi non sei tornato a pranzo», borbottò a bassa voce, quasi come se la sua fosse una supplica. Lui sapeva che in realtà lo era. Conosceva le preoccupazioni della donna.
«Ho avuto da fare», gli rispose brevemente.
«Ancora con quella tua ossessione?»
Rimase in silenzio.
«Questa cosa ti ucciderà, Santo. Non puoi continuare a lavorare a questi ritmi. Non riposi più, mangi a malapena. È una vita troppo dura.»
«Non devi preoccuparti. Me la sono sempre cavata piuttosto bene.»
«Certo, ma non siamo più giovani come un tempo. E poi c'è sempre una prima volta, anche per fallire.»
«Io non fallirò.»
«Potresti arrenderti, però. È una vita intera che vai avanti in questo modo. Non è ancora arrivato il momento di alzare bandiera bianca?»
Santo le afferrò le mani. Le strinse assieme, tenendole unite in una morsa. «Ci sono vicino, amore. Vicinissimo.»
«Lo dicevi anche tutte le altre volte.»
«Questa volta è diverso.» Non avrebbe voluto dire come stavano le cose chiaramente, ma ormai non ce la faceva più. Doveva aprirsi con qualcuno, doveva svelare quello che aveva scoperto. «Ho trovato ciò che cercavo», le confessò.
«Mi stai prendendo in giro?»
«No, non lo sto facendo.»
«E allora dov'è?»
«Non ce l'ho con me. Ho parlato con don Luca. Abbiamo deciso di nasconderlo. Con il tesoro, erano conservate anche delle lettere. Lettere dei nostri padri. Parlavano della storia di questo tesoro, di quante fatiche abbiano impiegato per mantenerlo nel corso del tempo.» Fece una pausa, esitante. «Finora ho sempre pensato che con quel tesoro vi avrei dato qualcosa in più, qualcosa con cui migliorare la nostra vita insieme.»
«Sai che non ci serve niente più di quello che abbiamo già.»
Scosse la testa. «No, non lo sapevo. Ora lo so. Me ne sono convinto. Anche in quel poco, la nostra vita è completa. Perciò mi sono attenuto alle raccomandazioni dei nostri padri. Ho deciso di non toccare quelle ricchezze. Ho deciso con don Luca di conservarle per il futuro, per le generazioni che verranno. Quando arriverà il momento del bisogno vero, allora sarà sua premura consegnarglielo. Ma solo allora, non un secondo prima.»
Sua moglie sorrise. Lui fece altrettanto.
«Sono felice che la pensi così.»
Santo la strinse in un abbraccio. «Lo sono anch'io, amore. Lo sono anch'io.»

* * *

Fuori, lo sterrato scricchiolò sotto la pressione degli pneumatici. L'ingombrante fuoristrada si fermò appena più a lato del sentiero che conduceva a Col di Favilla e alla casa che dovevano raggiungere. Per fortuna quell'abitazione era posta a distanza di sicurezza dalle altre del posto. Non avrebbero dovuto prestare attenzione agli schiamazzi.
I fari si spensero e il motore smise di brontolare. Due persone uscirono nella sera sbattendo le portiere. I loro volti per metà glabri erano appena passati dal confine tra la giovinezza e l'età adulta. I loro occhi scintillavano di cupidigia e di fosca determinazione.
Si diressero verso il portabagagli, lo aprirono e rovistarono al suo interno. Uno dopo l'altro, estrassero due fucili da caccia. Li caricarono a dovere, prima di richiudere il portellone con un tonfo.
Si avviarono lungo il sentiero, poi il breve vialetto dell'abitazione. Il più brillante dei due fissò il suo compagno, cercando nel suo sguardo un'ombra di esitazione.
Non la vide, proprio come si era aspettato. Sapeva che tra i due l'altro era il più amorale, il meno scrupoloso.
Quindi annuì.
Con un calcio, la porta sbalzò in avanti.
Un fragore assordante invase la casa.

* * *

Santo si alzò, lasciando il tavolo. I suoi piccoli stavano scendendo dalle scale, quando il boato invase il salotto. Lanciò la sedia lontano, senza rendersi conto della paura sul volto della moglie. Seppe solo dire che la donna rimase bloccata dov'era, seduta in cucina.
Non avrebbe mai saputo del suo volto terrorizzato, delle sue mani tremanti, del suo corpo macchiato dal sangue.
Santo entrò nel salotto e vide due persone. Avevano dei fucili da caccia. Li tenevano puntati davanti a loro. I volti erano coperti da alcuni pezzi di plastica in una specie di rudimentale e improvvisato passamontagna. Però i loro occhi non gli erano nuovi. Li conosceva, sebbene non avesse ancora associato quei colori alle persone cui appartenevano.
I bambini cercarono di correre verso il padre. Il tizio più vicino a loro fece un balzo in avanti, bloccando Lidia, l'ultima della fila. La cinse per le braccia, stringendola all'altezza del collo. La bambina di nove anni strillò, impaurita.
«No!»
Il grido di Santo squarciò la casa.
«Fai silenzio!», replicò il tizio con voce gracchiante. «Fai silenzio o la uccideremo.»
Santo cercò di controllarsi. Nonostante la sua voglia di intervenire, sapeva di doversi calmare. Ne andava della vita di sua figlia.
«Non fatele del male», supplicò. «Non è che una bambina.»
«Non servirà», disse l'uomo, ancora determinato a tenere la ragazzina contro il proprio addome. «Basta che tu ci dica ciò che vogliamo sapere.»
Il secondo uomo abbassò appena il fucile, lasciandolo comunque a mezza altezza, pronto per riportarlo dov'era nel caso ce ne fosse stato bisogno. «Dicci dov'è il tesoro», ordinò senza mezzi termini. «Diccelo o la bambina morirà.»
Santo capì: ecco chi aveva svaligiato il suo capanno nel bosco, ecco chi cercava il tesoro. Erano quei due. Ed erano due persone che conosceva, ne era certo. La sua mente offuscata dalla disperazione non gli permetteva di riconoscerli. Se non lo fosse stata, li avrebbe smascherati non appena aperto bocca.
«Aspettate. Possiamo parlarne da persone civili.»
Il tizio dalla voce gracchiante non volle sentire ragioni. «Non te lo chiederà un'altra volta. Dicci dov'è il tesoro.»
Santo esitò, troppo impaurito per pensare. L'unica cosa che potesse fare era cercare di mentire, per proteggere la volontà dei propri avi. In fondo, avevano una bambina come ostaggio. Anche se era sua figlia, loro non l'avrebbero uccisa.
«Non lo so», disse sconcertato, la voce rotta dall'agitazione.
«Pessima scelta di parole.»
L'uomo prese il collo della bambina. In un solo istante, vide le grosse mani dell'energumeno posarsi sulle orecchie della piccola. Poi un gesto fulmineo, le braccia che ruotavano parallelamente.
La sua bambina si accasciò a terra, il collo spezzato.
«No!», gridò furibondo.
Il secondo uomo fissò il suo compagno. «Che cazzo hai fatto, dannato imbecille? Che cazzo hai fatto!?»
Il suo compagno non lo degnò di uno sguardo. Continuò a fissare gli occhi di Santo, intento a tenere gli altri suoi tre figli accanto a sé. «Non mi piacciono le oche. Strillava troppo per i miei gusti», replicò apatico.
Santo sentì un'ondata di disprezzo immane occupare la propria mente. In preda a quell'accesso di furia, il suo corpo non fu più in grado di tenere salda la presa sui suoi piccoli. Tommaso, il più grande, si divincolò, correndo urlante verso l'uomo.
Fu l'ennesimo errore.
L'uomo che aveva ucciso sua figlia alzò il fucile. Quando il piccolo fu a mezzo metro da lui, la canna scoppiò uno sparo. Il suo primogenito si accasciò a terra, scivolando all'indietro con la testa, poi in avanti sul pavimento.
«Lurido vermiciattolo vendicativo. Avresti dovuto insegnare meglio ai tuoi figli, Santo. Devono imparare il rispetto per i più grandi.»
Il compagno del tizio piegò le ginocchia a terra. Cadde, imprecando. Poi cominciò a borbottare, sconvolto per ciò che stava vedendo.
Santo sentì una sola parola.
Daniele.
La sua mente collegò tutto.
«Tu!», urlò verso l'uomo. «Sporco bastardo! Togliti quella maschera, Daniele!»
In quel momento gli fu chiaro chi fossero.
«E tu!», disse ancora più forte verso l'altro. «Jack! Sei stato tu! Siete stati voi!»
Stava piangendo, la sua testa immersa in un viaggio senza ritorno. Sentiva il pianto dei suoi due figli, distrutti dal destino dei loro fratelli. Lo stesso che sarebbe toccato anche a loro, se Santo non avesse fatto qualcosa.
Ma Santo non poteva più fare nulla. La furia aveva preso il sopravvento. Non sentiva più, non vedeva più. Men che meno riusciva a pensare.
Fu l'istinto a guidarlo.
Prese fiato e si lanciò contro Daniele che proprio un momento prima si era mostrato in tutto il proprio immondo aspetto. Senza il pezzo di plastica che ne coprisse il volto, niente poteva nascondere le sue labbra deformate dalla pazzia.
Santo non si avvicinò più di due metri.
Poi la sua vita si spense.

* * *

Marta era sconvolta. Quello che stava accadendo in salotto era troppo anche per lei. Non sapeva se dover intervenire o dover pregare. Era impotente.
Nonostante la situazione, lei provava qualcosa: era agitata e impaurita come non lo era mai stata in vita sua.
Andrea, il figlio più piccolo, si strinse a lei. Percepiva la sua paura e il suo dolore. Sapeva di essere in pericolo, anche se non sapeva chi ce lo stesse mettendo.
Marta sentì gli strilli di sua figlia, forti, acuti, come solo lei sapeva emettere tra i suoi pargoli. Li sentì per quasi un minuto. Poi, all'improvviso, si interruppero, sostituiti dalle grida di dolore di Santo.
E capì cosa fosse successo.
I suoi occhi si bagnarono di lacrime. La mente obliterata dal dolore, mentre un unico obbiettivo si faceva strada dentro di lei.
Quando sentì uno sparo e di nuovo le urla di suo marito, allora capì che cosa dovesse fare.
Prese il suo bambino. Lo spinse sotto il piccolo tavolo della cucina, quello basso che avevano fatto per lui quando era ancora un neonato.
«Ascoltami», gli disse. «Andrea, ascoltami!» Il piccolo rimase immobile, rivolto nella sua direzione. La madre lo distese a pancia in giù sul pavimento, sotto il tavolino. «Devi restare qui! Non devi uscire per nulla al mondo.» Gli diede un ceffone. «Mi hai capito, Andrea? Non uscire.»
Il bambino continuava a piangere, ma lei sapeva di dover essere dura. Ne sarebbe valsa la pena.
«E devi smettere di piangere. Devi stare qui sotto, in silenzio, senza muoverti. Qualunque cosa sentirai. Me, tuo padre, i tuoi fratelli. Qualunque cosa succeda, tu non uscire mai. Stai qui, il più in silenzio possibile. E sappi che la mamma ti vuole tanto bene.»
Gli diede un bacio e lo spinse ancora più sotto il minuscolo tavolino.
Si alzò di getto, sconvolta. Nei suoi occhi, adesso ardeva un fuoco. La rabbia stava per divampare.
Marta avrebbe fatto tutto il possibile.
Mentre afferrava il mattarello dalla cucina, sentì un grido arrembante di Santo. Quindi un terzo sparo. La sua voce si estinse, proprio mentre Marta si accingeva a raggiungerli in salotto.

* * *

Jack osservava impotente ciò che stava accadendo. Non si era immaginato una cosa simile. Ciò che voleva terminare come un arrembaggio intimidatorio infarcito da qualche minaccia a vuoto si era trasformato in una tragedia.
Daniele era fuori controllo.
Non sapeva fin dove sarebbe potuto arrivare. Non lo aveva mai saputo davvero: ora stava assistendo alle conseguenze.
Rimase in ginocchio, imbambolato, mentre Daniele sparava agli ultimi due ragazzini che si gettavano su di lui. Entrambi perirono sotto i colpi del suo fucile.
«Ben vi sta, luridi marmocchi.»
Poi arrivò la madre, con un mattarello in mano. Daniele la lasciò avvicinare senza premere il grilletto. Quando fu abbastanza vicina, si abbassò, prendendola per la vita. Con il braccio bloccò le sue mani e levò di torno il mattarello.
«Stupida imbecille.»
Jack osservò allibito, mentre Daniele le mollava un ceffone che lasciava rintontita la moglie di Santo.
Per la prima volta negli ultimi anni, anche Jack pianse davvero.
La donna tentò di rialzarsi, sbraitando a perdifiato. Il vecchio compagno non aspettò. Si alzò, prese il fucile e lo puntò in faccia alla donna urlante.
La moglie di Santo chiuse gli occhi.
Jack la imitò.
Il boato dello sparo, Jack lo sentì soltanto. Non riuscì a non immaginarsi la scena, per quanto stesse cercando di scacciarla dalla propria mente. Persino a occhi chiusi, Jack provò un conato di vomito.
Sperò con tutto se stesso che in quel rigurgito finisse anche qualcos'altro: tutte le proprie emozioni.
Come avrebbe fatto ad andare avanti altrimenti, davvero non osava immaginarlo.

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