Discovery Arte&Storia Presenta: L'arte, la storia e il culto dei morti

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17/10/2018 | a cura della redazione Arte&Storia di @Discovery-it

L'arte, la storia e il culto dei morti


Ed eccoci giunti al secondo numero della nostra rubrica Arte&Storia!
Dopo il discreto successo della prima uscita con la quale abbiamo toccato i nostri argomenti base al tempo delle pitture rupestri e degli sciamani, oggi replichiamo con un altro tema fondamentale nella storia dell'umanità e delle sue arti: il culto dei morti.
Un tema estremamente ricco di contenuti per il quale non basterebbero centinaia di pagine immacolate ancora da scrivere, poiché, fin dall'alba dei tempi, l'uomo ha dedicato grande spazio ed importanza alla celebrazione del trapasso, ritenendolo importante tanto quanto la vita stessa, se non addirittura di più.
Allo stesso modo di come lo fecero i nostri avi, anche noi cercheremo di trattare l'argomento servendoci di aspetti differenti delle incredibili capacità degli esseri umani: dalle semplici gesta eroiche e pie di cui siamo capaci come, per esempio, quella di prendersi cura di vecchie sepolture comuni per dar loro nuova dignità, fino a giungere all'impressionante sforzo richiesto dalla costruzione di mastodontici monumenti megalitici usati a scopo ritualistico funerario, passando per la pittura e la filosofia.
Vedremo infatti come un “semplice” quadro sia stato in grado di destabilizzare una società profondamente legata al culto della ritualità funeraria ed anche come, la filosofia, in questo caso il nichilismo, sia legata a doppio filo con il… Culto dei morti!
Mettevi comodi e godetevi un altro viaggio nel tempo.
Buona lettura.



L'arte e il culto dei morti attraverso il tempo

Con l'inesorabile trascorrere del tempo e dei secoli, le abitudini e gli usi dell'essere umano lentamente sfumano, cambiano e poi palesemente si trasformano, talvolta spostando di netto in secondo piano ciò che prima era di primaria importanza.
Certo il processo è lungo e perciò abbiamo ampio spazio di manovra nell'analizzare ciò che accade attraverso il cammino dell'ineluttabile evoluzione.
Il tema di oggi ci conduce in un passato lontano per osservare più da vicino il rapporto fra l'uomo e la morte, senza dimenticarci di filtrare il tutto attraverso l'arte, indice realmente importante sul tema.
Lo faremo in breve partendo dalla vera e propria cultura che i nostri antenati preistorici avevano nei confronti della morte, fino a giungere a ciò che rappresenta il culmine dell'arte dedicata ai defunti: i meravigliosi cimiteri monumentali costruiti in occidente nel secolo XIX, frutto della più alta sapienza artistica e della dimostrazione di una venale opulenza fine a se stessa perpetrata dalle famiglie borghesi, i nuovi ricchi che si sostituirono alla nobiltà grazie ai fruttuosi ricavi delle proprie attività commerciali[1].
Partendo dall'antica civiltà egizia, per esempio, troviamo il massimo impegno da parte degli uomini nel celebrare l'importanza del trapasso, sia a livello rituale, sia a livello artistico. Basta infatti prendere ad esempio i templi funerari della Valle dei Re dell'antica Tebe, l'odierna Luxor, o le maestose piramidi della Piana di Giza, la cui costruzione viene ufficialmente attribuita a tre faraoni della quarta dinastia, Khufu, Khafra e Menkaura; ammesso ma non concesso che tale datazione corrisponda a verità, recenti teorie hanno dimostrato la loro importanza nel culto funerario, non come tombe, bensì ad uso rituale [4]. Le costruzioni megalitiche, opere d'arte a tutti gli effetti, pare servissero ad agevolare la trasmigrazione delle anime dell'alta società egizia pronte ad abbandonare il corpo mummificato, per dirigersi verso il cielo dimora degli dei.
I celebri monumenti infatti, vennero edificati allineati con l'allora posizione nel firmamento dell'importante costellazione di Orione, più precisamente con la celebre “cintura”, dalla quale si pensava che provenissero gli dei civilizzatori e creatori del periodo dinastico, nonché l'anima dei faraoni considerati alla stregua dei loro diretti discendenti. Perciò, era tramite i cunicoli all'interno delle piramidi che l'anima del faraone raggiungeva la cuspide per fare ritorno nel firmamento da cui era venuto al momento della sua nascita.
Spostandosi più avanti lungo la linea del tempo, all'interno della Roma Imperiale il concetto di trasmigrazione tipico della preistoria e degli egizi viene stravolto alla base [2].
Gli antichi romani patrizi, infatti, attraverso rituali purificatori tentavano di trattenere in loro compagnia sul piano materiale lo spirito del caro defunto, impedendogli così di abbandonarli definitivamente, mantenendolo però ben lontano dall'ambiente casalingo che per nove giorni dopo il decesso del congiunto, doveva essere purificato poiché ritenuto contaminato e funesto.
A tal proposito, costruivano appositi sarcofaghi in marmo scolpiti in bassorilievo per contenere le ceneri del defunto (la cremazione era preferita all'inumazione) e, in alcuni casi, abitazioni lussuose fuori città lungo la Via Appia dove lo spirito veniva invitato a prendere alloggio insieme ai suoi resti mortali.
Ecco quindi che già nei primi secoli dopo Cristo comincia a prendere forma l'idea del “cimitero monumentale”, sfoggio di belle arti e lusso, un insieme di meravigliose sculture in marmo a far da cornice alle città dei morti, a imperituro e maestoso ricordo dell'anima del caro estinto e alla conservazione delle spoglie mortali, sebbene, ad oggi, è praticamente scomparsa, almeno in occidente, quella ritualità seria e profonda caratteristica del passato, lasciandoci in eredità soltanto veloci funerali moderni come “ultimo saluto” e molta, troppa incuria dell'arte che fino a quasi due secoli fa permeava di meraviglia le nostre necropoli[2][3].
Tanto la vita quanto la morte, quindi, sono facce della stessa medaglia che l'uomo ha sempre celebrato parimenti, dando la stessa importanza ad entrambi gli aspetti naturali dell'esistenza: da un lato la nascita e la permanenza terrena, dall'altro l'addio o, per alcune credenze religiose l'arrivederci, dovuto al trapasso. Anzi, in alcuni casi, è proprio la morte ad essere stata considerata perfino più importante della nascita, in quanto momento celebrativo dell’atto di “ritorno alla vera casa spirituale dell'uomo”, quell'oltretomba che nel corso dei secoli ha assunto una quantità impressionante di nomi e descrizioni.

Fonti:

  1. prehistoric Cemetery
  2. Pagan and christinan rome
  3. The Monumental Tombs of Ancient Alexandria: The Theater of the Dead
  4. Valley of the Kings

a cura di @itegoarcanadei



Un funerale per la Storia

“Se la morte è tanto presente nell’immaginario dell’Occidente medievale, nelle sue pratiche e nelle sue opere pie… preghiere per i morti, liturgie dei morti, monumenti funebri, è perché, più ancora della morte, i cristiani temevano l’aldilà, l’eternità, un’eternità di sofferenze infernali!”

La morte è una questione privata, che ci coinvolge e deve essere gestita nell’intimo, regolamentata in pubblico. Gli artisti con le loro modalità di esecuzione possono creare ponti, agganci e legami indissolubili tra la morte e i mortali, imprimendo nella memoria collettiva nuovi scenari.
Nel 1849, Gustave Courbet, celebre pittore francese, realizzò un quadro ad olio che aveva per soggetto un semplice rito funebre, con il quale stravolgerà per sempre i canoni estetici e formali della rappresentazione classica, contribuendo alla formazione definitiva del “Realismo”: l’opera è “Funerale a Ornans”[1].

L’opera

Un’opera d’arte con alti valori intrinsechi, ben lontana dalla rappresentazione estetica classicista, ci indurrà a nuovi spunti di riflessione sugli avvenimenti coevi fino a certificarne l’esistenza in un nuovo mondo.
L’uomo comune, a causa di una perdita, può soltanto pregare o compiere gesti rituali, ma l’artista no, egli va oltre le liturgie, crea nuove strade, diramazioni profonde visualizzabili e percorribili nella Storia da altri uomini, che le conserveranno nella memoria. Courbet con il suo “funerale a Ornans” spalanca il portone sul futuro, lontanissimo dalla paura dell’aldilà o dalle reverenze religiose atte a mitigare le sofferenze.
L’artista francese dipinge un fatto luttuoso, un rito funebre, con una sintassi esclusiva, originale e strutturata su basi storiche. Produce una cronaca senza sfarzi ed emozioni, annientando la tradizione religiosa del rito stesso; irrispettosamente lo diffonde, svestito dalle pastoie culturali religiose e bigotte, ma con la dovizia certosina di elementi puri che esaltano l’essenza dell’uomo.
Nessuna paura delle sofferenze dell’anima, la realtà ci impone nuove scelte, la Storia avanza e l’inferno è lontano, lo testimoniano i due gendarmi a destra del quadro vestiti da rivoluzionari della Prima Repubblica.
Nella rappresentazione del funerale, Courbet, eleva la sua opera d’arte a tal punto che essa stessa diviene un fattore di culto; partendo da un rito funebre consolidato, compie un cambio di direzione nell’ambito antropologico del termine “culto”, fornendoci una nuova accezione del significato senza morse rituali e libero di volare verso nuovi orizzonti a “coltivare” altri territori, non contraffatti dalla società del tempo, ma ancora veri.
Quest’opera entrerà di diritto nel novero dei capolavori che rivoluzioneranno il mondo delle arti, sancendo la fondazione del “Realismo”[1][2].
Il quadro è enorme, la tela misura oltre 315 per 668 cm, un formato ritenuto non idoneo per dipingere un semplice funerale. Tele di queste dimensioni infatti, si usavano per dipingere accadimenti storici o religiosi di grande interesse pubblico.
Primo conflitto con la tradizione rituale, quindi, non si adoperava mai una tela enorme per un semplice funerale.
Sono ritratti, in scala reale, quasi tutti i personaggi del paese che presenziano al rito funebre, ritratti di volti, con tutti i loro difetti, facce stanche e annoiate, con nasi deformi e guance arrossate. Courbet è lucidissimo nella sua annotazione, un paziente descrittore dell’umanità. Come uno storico esperto, annota visivamente i particolari dei volti, degli oggetti e dei vestiti dei presenti, senza commenti, come vuole la storia, integrale ed autorevole nell’esposizione.
Il funerale è anonimo, spoglio, in un’ambientazione fredda, senza natura viva o edifici. Una semplice descrizione dei fatti, talmente elementare, che il quadro scatenerà feroci polemiche e verrà escluso da partecipazioni a mostre ufficiali; anche il più famoso Delacroix si scaglierà contro il povero collega accusandolo di volgarità e di dare lustro alla bruttezza degli uomini.
Il funerale di Courbet è scarno ma intenso, lo descrive come un fatto di una disumana quotidianità, non un rito, non c’è ritualità nel celebrare il dolore, ma soltanto realismo.
Il rito funebre è spogliato dal suo vestito cultuale. Sofferenza, dolore e morte sono lontane, il cane maschio, in primo piano, con una spietata indifferenza guarda da un'altra parte rispetto alla sepoltura; diventa l’eroe che cambia la storia, ostentando disinteresse verso ciò che non è più tradizione.[2][3]
E’ il funerale di Courbet che sancisce la fine delle tradizioni, dei riti, delle differenze sociali, della cultura borghese della Francia, della secolarizzazione dei costumi e dell’arte europea.
Courbet s’impone per sempre nella società moderna, distruggendo con un rito funebre il perbenismo e le falsità della nobiltà e del clero, non avendo più paura di soffrire in eterno, nell’aldilà.
L’inferno è solo per i medievali, siamo entrati nell’Era Moderna.

Fonti:

  1. Gustave Courbet
  2. cultures of death and dying in medieval and early modern europe
  3. Funerary Arts and Tomb Cult: Living with the Dead in France, 1750–1870

a cura di: @armandosodano



Le catastrofi naturali e l’antitesi del culto dei morti

Fin dall’alba dei tempi l’uomo ha cercato di preservare la sua identità anche dopo la morte. Da qui nascono i riti funebri ed il culto dei morti, come risulta dai ritrovamenti archeologici risalenti al Neolitico (Homo Sapiens) [1]. Il culto dei morti è quindi una costante della storia umana, venuta a mancare soltanto durante gravi calamità naturali quali terremoti, epidemie ed eruzioni vulcaniche o episodi funesti di natura sociale come guerre, persecuzioni etniche e religiose o grandi esodi forzati, avvenimenti per i quali gli uomini dovevano temporaneamente rinunciare, per cause di forza maggiore, ai riti ed alle celebrazioni destinate al culto dei morti.
I cadaveri dei defunti, in antichità venivano spesso conservati in luoghi che, seppur simbolici, non consentivano la conservazione dell’identità d'ogni individuo (catacombe, fosse comuni, cimiteri di guerra, etc.).
A Napoli, ad esempio, dove la peste del 1656 [2] flagellò la popolazione, si trova uno di questi luoghi: il Cimitero delle Fontanelle.
Così chiamato per la presenza in passato di molti rivi d’acqua, si trova nel rione Sanità, ubicato quindi in pieno centro cittadino; è un’ex cava usata per l’estrazione del tufo dentro cui sono accatastati i resti di 250.000 salme vittime della peste. Più della metà dei circa 450.000 abitanti dell’epoca.
Nel corso dei secoli la cava ha ospitato le vittime di altre disgrazie occorse alla cittadinanza partenopea, come il colera del 1837 o le infauste eruzioni del Vesuvio.
Fu solo nel tardo ‘800, grazie alla volontà e al nobile gesto di Don Gaetano Barbati - ritenuto erroneamente parroco della chiesa di Materdei - e della comunità di fedeli, che la cava abbandonata fu riaperta e le migliaia di ossa anonime accatastate al suo interno pulite e riordinate, come tutt’ora oggi si trovano [3]. Soltanto grazie a tale opera pia, i resti di queste anime innocenti hanno acquisito nuova dignità e identità, ciò che ormai avevano perduto da tempo, non avendo ricevuto a tempo debito la grazia e la tranquillità di una degna sepoltura.
In questo cimitero suggestivo si evince la fede e la devozione del popolo napoletano per i defunti. Qui, in questo luogo mistico e sacro, i vivi parlano ai morti affidando loro i propri affanni terreni in cambio di una grazia. Tali resti umani, in particolare i teschi, considerati dai napoletani rifugio ed emblema delle povere anime degli individui a cui appartenevano dette anime pezzentelle, venivano “adottati” da individui o intere famiglie che si legavano a loro in una sorta di parentela spirituale, per narrare loro i propri problemi e ricevere in cambio misericordioso aiuto.
Uno di questi teschi, conosciuto come Donna Concetta (‘a cap che sura), è sempre stato oggetto di particolare culto e devozione, in quanto, diversamente dagli altri che in genere sono coperti di polvere, è sempre lucido ed umido. La credenza popolare ritiene che questa umidità sia dovuta al sudore dell’anima sofferente nel purgatorio; si crede che, se nel momento in cui le si chiede una grazia, la mano che tocca il teschio si bagna, allora la benevolenza dell’anima è assicurata.

Fonti:

  1. Collana a cura di S. Zuffi, Storia dell’Arte 1, le Prime Civiltà. Mondadori Electa, 2006, Milano.
  2. La peste del 1656-58 nel Regno di Napoli: diffusione e mortalità
  3. fontanelle-cemetery-caves

a cura di @michelacinque


L'argomento di questa settimana vi ha stimolato?

Aspettiamo i vostri commenti a questo post e i link ai vostri articoli di approfondimento su questo argomento!
Vi aspettiamo la prossima settimana per un nuovo numero di

Discovery-it Arte&Storia

Tutte le immagini e i disegni sono opera di @armandosodano.

Redazione: @Phage93, @armandosodano, @itegeoarcanadei, @michelacinque, @ciuoto, @anedo, @ilnegro



Immagine di proprietà del team di steemspeak che si ringrazia per la partecipazione
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Molto articolato e bello! Bravissima e bravissimi! Mi permetto di collegarmi a Voi con Ugo Foscolo - da "I Sepolcri"

non vive ei forse sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente dei suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è degli umani, e spesso
per lei si vive con l'amico estinto...

Grande Armandosodano con dipinti.

Veramente interessante.
Ho letto questa uscita in maniera scorrevole, non era pesante anzi, se devo dire la verità, avrei letto ancora qualche riga! Di sicuro mi ha invogliata ad andare ad approfondire certi discorsi.
Bravissimi tutti gli autori ma devo porgere dei complimenti speciali ad @armandosodano per il suo articolo. Quando si fanno Delle analisi critiche di un'opera si rischia sempre di incappare in discorsi noiosi o troppo tecnici, invece tu hai fatto un ottimo lavoro!
Bravissimi, continuate così! 💪
Alla prossima uscita 😃

grazie per aver letto e commentato @acquarius30 :-)

Spettacolo!!! Mi vengono in mente tremila temi!!! Non vorrei cadere sul classico. Vediamo cosa posso fare.
Bravi ragazzi!

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Grazie @moncia90 contenti che ti sia piaciuto il tema di questa "puntata". Aspetteró il tuo post al riguardo! Ciaoo 👏👏👏

👍
Devo ancora postare l'articolo sulle pitture rupestri!!!😅

Posted using Partiko Android

Non ho tempo per un commento approfondito, gli articoli li avevo già letti e volevo comunque dire: bravi tutti! 🙂👍


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