"Miracolo" a Verona: 40 anni dallo scudetto più pazzo di sempre (Parte II) - A 'Miracle' in Verona: 40 Years Since the Craziest Scudetto Ever (Part II) [MULTILANGUAGE]
Osvaldo Bagnoli, portato in trionfo dopo la conquista dello scudetto del Verona nel 1985. Immagine di pubblico dominio

L'INIZIO DEL TORNEO E IL PRIMO CICLO TERRIBILE |
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Ci siamo occupati ieri dei fatti precedenti al fischio di inizio del campionato 1984-85, forse il più pazzo di tutta la storia della Serie A. Numerosi campioni giunsero tutti insieme in estate nel nostro torneo, grazie alla volontà dei vari presidenti di anticipare il blocco al tesseramento dei calciatori stranieri, imposto dalla FIGC per le successive tre stagioni.
A Verona, alla prima giornata, esordì appena ingaggiato dal Napoli di Corrado Ferlaino per la cifra record si 14 miliardi, il più grande di questi, quel Diego Armando Maradona destinato a diventare, da lì a qualche anno, la stella più lucente del calcio internazionale.
Hans Peter Briegel, immagine di pubblico dominio
Bagnoli individuò nell'esperto Briegel, appena ingaggiato dal Kaiserslautern, l'uomo adatto per una marcatura asfissiante, che togliesse all'astro argentino ogni possibilità di mettere in mostra il suo talento. Si dice che il difensore tedesco non capisse una parola d'italiano, ma che appena udito dal tecnico il nome del Pibe de Oro si fosse limitato a sorridere, esclamando nella sua lingua "ci penso io..."
E così fu. Non solo il numero dieci partenopeo non toccò il pallone per tutta la gara, ma Briegel passò alla storia anche come il primo marcatore del Verona scudettato, quando poco prima della mezz'ora deviò in fondo alla rete con un possente colpo di testa un corner battuto da Fanna.
Il 3-1 con il quale gli scaligeri ebbero la meglio del Napoli fu replicato una settimana dopo ad Ascoli e la sofferta vittoria della terza giornata, 1-0 sull'Udinese grazie ad un goal su rigore, segnato nella ripresa da Galderisi, lanciò il Verona solo in testa alla classifica, dopo le prime tre giornate.
Ad ogni stagione, durante e fasi iniziali, si mette in luce una squadra medio-piccola, in grado di over-performare e occupare posizioni di classifica più alte del suo reale valore. Quell'anno, si pensò lo stesso dei gialloblù, attesi nelle successive giornate da un mini ciclo terribile di quattro partite, con le trasferte in casa di Inter e Roma e gli incroci con Juventus e Fiorentina al Bentegodi.
Rumenigge (a sinistra) e Brady, nuovi acquisti dell'Inter**. Immagine di pubblico dominio
In accordo con le previsioni di molti, il Verona avrebbe interrotto già a San Siro la propria corsa, ma grazie ad una gara gagliarda, giocata a viso aperto, Bagnoli e i suoi riuscirono ad inchiodare la super-Inter sullo zero a zero. Ancor meglio andò la settimana successiva, quando al Bentegodi era previsto l'arrivo della Juventus, campione d'Italia.
I bianconeri, concentrati più sulla Coppa dei Campioni che sul campionato, non entrarono mai in partita, travolti dalla voglia di vincere gialloblù. Nel secondo tempo un colpo di testa dell'ex, Galderisi, e un goal in contropiede del danese Elkjaer (passato alla storia perché realizzato dopo aver perso uno scarpino), aggiunsero un ulteriore mattoncino al sogno veronese.
L'euforia in città a quel punto sembrò fuori controllo. Come spesso accade alle squadre dal palmares limitato, battere la Juventus può appagare i calciatori quasi per il resto della stagione e la settimana successiva, all'Olimpico contro la Roma di Eriksson, il Verona sembrò ancora con la testa ai festeggiamenti della settimana prima.
Il portiere del Verona, Claudio Garella. Immagine di pubblico dominio
Solo un Garella in giornata di grazia permise agli scaligeri di evitare la prima sconfitta stagionale e a Bagnoli di comprendere come fosse necessario, nonostante gli elogi piovuti da più parti, un bagno di umiltà. Per dipiù a Verona era attesa, per la settima giornata, la Fiorentina di "Picchio" De Sisti, distanziata di solo due punti dai gialloblù e in grado di subire appena due reti nelle prime sei giornate.
Che le annate si rivelino fortunate o storte si comprende spesso dal numero di tabù che le squadre sono in grado di infrangere, in positivo o in negativo. Nelle precedenti 13 partite disputate in terra veneta, i padroni di casa avevano vinto soltanto in un'occasione, perdendo sette volte e pareggiando cinque.
Eppure, il 28 ottobre 1984, in campo sembrano esserci solo i giocatori di Bagnoli. Il 2-0 del primo tempo risultò addirittura stretto per i veronesi, capaci di sfiorare la terza segnatura in più di una circostanza. Ma il calcio è strano e metà ripresa bastò un'incomprensione difensiva a portare sotto i viola, in rete direttamente da calcio d'angolo con Pecci.
Il goal di Mark Hateley nel derby di Milano della settima giornata. Immagine di pubblico dominio
Le notizie dagli altri campi (all'epoca tutte le partite si giocavano in contemporanea) resero nota la rimonta e il sorpasso del Milan nel derby con l'Inter e il Verona non poteva permettersi di perdere punti, per non ritrovarsi a fine giornata i rossoneri incollati ad una sola lunghezza di distanza.
Toccò ancora a Garella, ormai per tutti diventato "Garellik" (un omaggio al personaggio dei fumetti Diabolik), salvare la porta dall'assalto finale dei viola, con parate sempre più spettacolari. Il ciclo terribile, prospettato un mese prima, era stato superato alla grande, con due vittorie e due pareggi.
I veronesi potevano incredibilmente ancora guardare tutti dall'alto in basso e affrontare la sosta per gli impegni della nazionale con grande ottimismo. A quel punto, forse nessuno credeva ancora nel sogno scudetto, ma la sensazione di trovarsi in un'annata dai tratti eccezionali cominciava a prendere corpo tra i tifosi e gli addetti ai lavori di tutta Italia.
Se vuoi rivivere il resto del viaggio del Verona verso il suo unico scudetto, l'appuntamento è alla prossima volta!
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